Pietro Ichino, l'addio alla moglie malata della sindrome di Richardson: «Dopo la paura un'intimità mai vissuta prima»

Pietro Ichino, l'addio alla moglie malata della sindrome di Richardson: «Dopo la paura un'intimità mai vissuta prima»
Pietro Ichino, l'addio alla moglie malata della sindrome di Richardson: «Dopo la paura un'intimità mai vissuta prima»
di Stefania Piras
Domenica 10 Maggio 2020, 18:12 - Ultimo agg. 19:10
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Sabato è morta Costanza Ichino, la moglie del giuslavorista Pietro Ichino, finito sotto scorta nel 2002 perché minacciato dalle Nuove Brigate Rosse; sua la frase «In Italia chi tocca lo statuto dei lavoratori muore» . Ichino è stato accanto alla moglie fino all'ultimo, e soprattutto negli ultimi due anni quando «la malattia ha infierito più duramente su Costanza: è stato forse il periodo più ricco e intenso di tutto il nostro matrimonio». Le ha rivolto una lunga riflessione pubblicata sul suo blog insieme alle foto che risalgono al fidanzamento e appunto agli ultimi giorni.
 
Li ha chiamati «Pensieri dell’ultima notte trascorsa accanto a mia moglie Costanza che ha sofferto per circa otto anni di una PSP-Paralisi Sopranucleare Progressiva (o sindrome di Richardson), che ne ha lentamente menomato, fino ad azzerarle, tutte le facoltà vitali». Sono pensieri di notte perché, scrive Ichino, di giorno non si riesce a parlare di morte. 

É una riflessione sull'assistenza diurna ma soprattutto notturna, sulla malattia, su chi si trova a condividere la vita con chi è affetto da una patologia che porta alla morte. Il vocabolario è quello ospedaliero intriso di cura e sentimento. Leggere le sue parole è come entrare dalla porta principale di una vicenda privata e un dolore quotidiano che si immagina, o che conosce solo chi sa cosa vuol dire stare accanto a un malato. Già, perché la malattia avvolge con la sua semantica ogni aspetto di quell'individuo. Vuol dire prendere confidenza con l'idea che la vita non sarà più tale, che è un po' smerigliata, perché è malattia. Ichino non usa metafore guerresche, non parla di combattimenti ed elemetti.

«In molti mi hanno chiesto come facessi a sopportare questo grande sacrificio», scrive Pietro Ichino. E qui spiega il perché abbia deciso di condividere la sua esperienza. Perché chi ci si trova la prima domanda che si pone è: e ora come si fa?
«All’inizio confesso che anch’io ne fui spaventato. Mi parve un caso in cui non si poteva applicare la grande regola secondo cui a cercare il bene nascosto in ogni situazione difficile, lo si trova sempre. Provai a impegnarmi in questa prova con uno spirito sportivo: “vediamo quanto tempo resisto”. Poi, pian piano, mi sono accorto dei tesori che questa situazione nascondeva. Mi ero impegnato a essere per Costanza le gambe che aveva perduto, gli occhi al posto dei suoi che non funzionavano più, e nell’ultimo periodo anche le braccia e le mani per lavarsi, pettinarsi, vestirsi, portare il cibo alla bocca; questo ben presto ha creato tra me e lei, dopo 45 anni di matrimonio, un’intimità che non avevamo mai vissuto».

Un tesoro di intimità sconosciuto. Questo è stato la malattia di sua moglie per l'ex senatore Pietro Ichino. La scoperta di un abbraccio che diventa incastro amorevole prima per necessità di movimenti impediti dalla malattia e poi contatto fisico cercato, che dura più del semplice aiuto a una mobilità difficoltosa. «Ogni volta – e potevano essere decine in una giornata – che lei mi chiedeva di spostarsi dal letto o dalla poltrona alla carrozzella e viceversa era un abbraccio stretto, e qualche volta ci fermavamo a metà strada abbracciati così, indugiando a dondolarci come in un ballo cheek to cheek - scrive - Abbiamo scoperto la delizia nuova, mai sperimentata prima, del leggere insieme ad alta voce per lunghe ore serali libri stupendi, che letti insieme diventano ancora più belli.  Ma l’intimità maggiore era quella delle sveglie notturne per una delle tante necessità, anche solo per aiutarla a cambiare posizione nel letto: accadeva che non ci riaddormentassimo subito, ma restassimo a lungo abbracciati nel letto parlando sottovoce di tutto quello che più ci stava a cuore, dai problemi di figlie e nipoti a quello che sarebbe stato di noi nelle prossime settimane e mesi». 

«Così quella regola del cercare il bene nascosto in tutte le pieghe della vita, che in questo nostro ultimo caso pareva subire una evidente eccezione, o pareva addirittura non poter essere menzionata senza assumere il significato di un’irrisione alla sofferenza, si è invece rivelata ancora una volta tangibilmente vera - conclude -  Se mi è consentito utilizzare una parola grossa, la “fede” in quel bene nascosto si è rivelata non solo frutto di speranza, non solo immaginazione di una consolazione promessa altrove, ma conoscenza – nel senso più profondo del termine – di qualche cosa di molto concretamente tangibile».

 
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