Inail, allarme coronavirus: «Sul lavoro aumentano i casi», lo scudo penale dal governo

Inail, allarme coronavirus: «Sul lavoro aumentano i casi», lo scudo penale dal governo
di Rosario Dimito
Sabato 23 Maggio 2020, 09:05 - Ultimo agg. 17:47
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La pandemia del coronavirus ha invaso il mondo del lavoro: sfiorano 43.400 le denunce di contagio, secondo la fotografia scattata il 15 maggio scorso dall’Inail, che fa sapere di aver ricevuto 171 denunce da infortunio mortale, la metà delle quali concentrate nel personale sanitario e assistenziale. Tra il 28 febbraio e il 15 maggio le denunce di contagio complessive si sono attestate 43.399, circa 6 mila in più rispetto alla rilevazione del 4 maggio. I casi di infezione che poi hanno causato la morte, in questo mese e mezzo, sono 42 in più rispetto all’ultimo check. 

I conti fatti dell’Istituto superiore della Sanità (Iss) sono diversi perchè al 18 maggio contabilizzavano 225 mila casi di contagi da Covid-19 in Italia ma l’Istituto per gli infortuni sul lavoro segnala l’eterogeneità delle due grandezze «per la più ampia platea rilevata dall’Iss rispetto a quella Inail, quest’ultima riferita ai soli lavoratori assicurati, e poi per la trattazione degli infortuni, in particolare quelli con esito mortale, per i quali la procedura presenta maggiore complessità dato l’attuale contesto, del tutto eccezionale e senza precedenti, di lockdown».
La materia del contagio sul posto di lavoro sta sollevando un polverone perché le parti sociali (Confindustria e Confcommercio) spingono per un paracadute a favore dei datori di lavoro in caso di contagio. E le aziende frenano sulle riaperture in quanto il contagio è equiparato agli infortuni sul lavoro, con il rischio di conseguenze penali per chi avesse lavoratori affetti da Covid. «Se ci si ammala sul lavoro, il datore è responsabile solo se c’è dolo o colpa», ha scritto Giuseppe Lucibello, dg di Inail, tre giorni fa, in una circolare nella quale si spiega che l’accertamento dell’infortunio ai fini dell’assicurazione e responsabilità penale, non procedono di pari passo. In poche parole, se un datore di lavoro applica i protocolli di sicurezza e le linee guida governative e regionali non è responsabile dell’eventuale contagio di un dipendente, proprio come avviene per i virus in genere.
Le perplessità manifestate da varie parti (Consulenti del Lavoro), scaturiscono dal rischio di entrare comunque in un circolo che potrebbero sfociare nel sequestro degli impianti per accertare le responsabilità del datore, una eventualità terribile in questa fase di precarietà del tessuto produttivo. Ecco perché si punta a uno scudo per proteggere a priori i datori di lavoro.

LA SOGLIA
«Nelle prossime ore ci sarà una riformulazione della norma che dirà che il datore di lavoro che ha applicato tutti i protocolli nazionali non ha alcuna responsabilità» nell’infortunio di un dipendente da contagio Covid, ha detto due giorni fa la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, ricordando che la circolare Inail è esplicativa sul tema. Su questo punto ci sarà una riformulazione del ministero rispetto ai vari emendamenti presentati al decreto liquidità.
In attesa di tutto ciò, dai numeri Inail sui contagi emerge che l’età media dei lavoratori che hanno contratto il virus è di 47 anni per entrambi i sessi, ma sale a 59 anni (58 per le donne e 59 per gli uomini) per i casi mortali. Nove decessi su 10, in particolare, sono concentrati nelle fasce di età 50-64 anni (70,8%) e over 64 anni (19,3%). Il 71,7% dei lavoratori contagiati sono donne e il 28,3% uomini, ma il rapporto tra i generi si inverte nei casi mortali. I decessi degli uomini, infatti, sono pari all’82,5% del totale.
A livello geografico, tra le regioni più di un’infezione da coronavirus di origine professionale su tre (34,9%) è avvenuta in Lombardia. L’incidenza lombarda sul totale dei decessi sale oltre quasi al 44%. Rispetto alle attività produttive, il settore della Sanità e assistenza sociale, che comprende ospedali, case di cura e case di riposo, registra il 32,3% dei casi mortali.
 

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