«Jabil, tagli fuorilegge»: la rabbia degli operai di Marcianise

«Jabil, tagli fuorilegge»: la rabbia degli operai di Marcianise
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 27 Maggio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 10:22
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Inviato a Marcianise

Il giorno dopo la doccia fredda, sono ancora lì. Fuori lo stabilimento «Jabil circuit Italia», con gli ingressi sbarrati e i fogli delle comunicazioni aziendali ingialliti. Ai cancelli, il lenzuolo con la scritta in spray nero e rosso sintetizza lo stato d’animo di tutti: «Alla prima lettera scappate da questa città». La lettera è quella che i 190 rimasti senza lavoro si sono visti recapitare a casa tra sabato e lunedì. 

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Vent’anni in questo stabilimento, al lavoro con la Siemens prima e poi con la Jabil. Pasquale Gentile ha 43 anni, è di Marcianise e a questo lavoro, quello che produce componenti per l’elettronica, ha dedicato gran parte della sua vita. Un figlio, la famiglia da mantenere, Dice Pasquale: «Sono all’assemblaggio, da 15 anni viviamo nella precarietà con continui annunci di ridimensionamenti, tagli agli stipendi, cassa integrazione. Lavorare con una continua minaccia addosso fa male, crea disagio psicologico. Mi hanno consegnato la lettera lunedì, ma lo avevo capito già prima». 

Capito che era tra i 190, tra quelli che dovranno dire addio ai 160 che restano. Capito dall’assenza nei turni di lavoro. Dice ancora Pasquale: «Il responsabile del reparto non mi ha chiamato per i turni. Segno che ero tra i licenziati e per fortuna che ho finito di pagare il mutuo di casa. Ma è dura, perché sono l’unico a guadagnare in famiglia. So che tutto questo è fuori legge».

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Le storie trasformano il numero 190 in persone, con i loro problemi, le loro difficoltà quotidiane, la loro famiglia. Monica Faenza è seduta da ore lì davanti l’ingresso sbarrato. Ha avuto una mattinata difficile, che ricorda con emozione e rabbia: «Una delle mie due figlie, di 10 e 11 anni, ha avuto una crisi di nervi. È crollata, quando ho parlato con sincerità, ho spiegato che quella lettera ricevuta sabato era il licenziamento definitivo. Non so come fare. Sono divorziata e unico sostegno delle mie due bambine. Con il mio stipendio, pago l’affitto, sto pagando da tre anni le rate dell’auto che ho preso per venire al lavoro da Capua dove vivo». Non ci sta, Monica, perché in teoria i licenziamenti sarebbero bloccati per l’emergenza Coronavirus, ma anche perché non capisce i criteri usati per scegliere i 190. «Non è una guerra tra poveri, ma è dura accettare che è capitato proprio a te» spiega.

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Tante norme richiamate nelle lettere, ma molti le considerano carta straccia. Come le due coppie, marito e moglie, che sono state inserite tra i licenziati. Vincenzo Covino è di Marcianise e a casa ha ricevuto due lettere. C’era anche quella della moglie, Lucia Carozza. Dice Vincenzo: «Tra i criteri, doveva esserci anche quello di licenziare uno con l’altro al lavoro. Invece, hanno licenziato entrambi. Abbiamo due figli, non glielo abbiamo ancora detto. Per fortuna non c’è un mutuo da pagare, ma togliere tutte le entrate in famiglia non è cosa proprio legale». Anche Luigi e Assunta, che vivono a Melito, sono nella stessa situazione dei loro colleghi. Due lettere, due licenziamenti. Dice Luigi: «È triste dover dire per fortuna non abbiamo figli, ma in questo caso è così. Come avremmo potuto fare ad andare avanti? C’è l’articolo 5 che vieterebbe casi come i nostri. Ma tutto è stato fatto con calcolo, con cinismo. Pensi, che sabato mattina, quando sono venuto qui, avevo già il badge d’ingresso disattivato. Mi avevano già cancellato, dopo neanche due ore dalla notifica della lettera di licenziamento».

C’è chi fa commenti sull’amministratore delegato della Jabil in Italia, Clemente Cillo, che qualcuno definisce «un tagliatore di teste, che ha già avuto tre esperienze di decine di licenziamenti in altre aziende». Ma è rabbia neanche accesa, in un clima diffuso dominato dallo sconforto e dall’assenza di riferimenti.
 


Quasi tutti, qui, hanno lavorato nelle aziende acquisite negli anni dalla Jabil: Marconi, Nokia Siemens, Ericsson, Mercatech. Ricorda Luigi: «Chiamiamo la Jabil, azienda delle acquisizioni. Ha rilevato, utilizzato commesse, ammortizzatori sociali, poi ha fatto tagli». C’è chi fa parallelismi. Cinque anni fa, proprio a maggio, decine di questi lavoratori erano impegnati nella vertenza che avrebbe portato la Jabil all’acquisizione dello stabilimento Ericsson. Come Tommaso Sorbo di Marcianise, 48 anni, sposato da 15 anni e con due figlie. Già dipendente della Marconi, era in corteo con tanti colleghi a maggio 2015. Anche per ricordarlo e per avere memoria su quanto tormentata sia la storia della Jabil, Tommaso ha creato con Marco Di Benedetto di Caserta il gruppo chiuso dei dipendenti su Facebook. Le voci dei dipendenti fuori l’azienda parlano di violazioni di leggi e possibili ricorsi. Spiega ancora Luigi: «Se passano 48 ore, il licenziamento è esecutivo e andrebbe impugnato. Va ritirato prima, perché chi lo impugna deve rinunciare alla disoccupazione senza cig. E poi? Sono andati avanti e hanno voluto dividerci selezionando chi licenziare». Chi è fuori e chi è rimasto, ma nulla è ancora perso. Almeno così sostiene Francesco Percuoco, segretario Fiom-Cgil di Caserta anche lui davanti allo stabilimento. Per ora, alla Jabil è sciopero. Ma tutto sembra surreale, in un braccio di ferro dove vince il più forte e cinico che nulla sa, né vuole sapere, delle storie dei 190.
 

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