L'algoritmo nel paese ​dei sospetti

di Massimo Adinolfi
Martedì 2 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Ultimo arriverà l’algoritmo. Perché il campionato sta per riprendere. Riparte il calcio e pure – credo – il fantacalcio. Ma, nel caso di una nuova sospensione dell’attività sportiva, si disputeranno i play off (e i play out), e se non vi sarà lo spazio nemmeno per quelli, il presidente della Figc Gravina dice che si ricorrerà all’algoritmo. E non si capisce, in verità, se usa la minuscola o la maiuscola, quando pronuncia la parola. Se parla cioè del dio Algoritmo, oscura entità dinanzi a cui l’umanità sarà chiamata sempre più spesso a sacrificare, o più prosaicamente di una mera procedura di calcolo, che verrà applicata secondo regole determinate. 

In ogni caso, sappiamo bene che se c’è un campo in cui fioccano parole irriguardose anche nei confronti di quanto abbiamo di più sacro e prezioso al mondo, quello è il calcio, e dunque toccherà anche all’algoritmo, maiuscolo o minuscolo che sia, di vedersi insultato nei suoi affetti più cari. Perché vatti a fidare dell’algoritmo. Certo, è matematica, è calcolo, è una procedura implementata su macchina. Ma non è sufficiente. Eppure, si dirà, su Wikipedia c’è scritto che i passi di cui si compone devono essere elementari, che non possono dare spazio all’interpretazione, che dati certi numeri in ingresso il risultato ha da essere univocamente determinato, quello e non un altro. Non basta lo stesso.

Chi decide, infatti, su quali parametri e quali numeri deve basarsi il calcolo? I gol fatti, i gol subiti, i punti in casa e quelli fuori? Ma ecco, allora, come il tifoso si figurerà la cosa (se gli dovesse andar male): questi furbastri (eufemismo) prima hanno visto quali squadre avrebbero tratto vantaggio da questo o quel parametro, e poi hanno impostato l’algoritmo. Hanno fatto le loro brave simulazioni, e solo dopo hanno fatto partire la procedura, e oplà: il gioco è fatto. Non solo, ma il suddetto tifoso, quello che sa sempre che cosa il Palazzo gli sta per cucinare, finirà sicuramente su qualche sito che gli mostrerà come, adoperando un altro sistema di calcolo, con altri valori, la classifica finale risulterebbe profondamente diversa.

Tot capita, tot algorithmi. E se ognuno si può fare il suo algoritmo, potrà pure contare, ai fini dell’assegnazione dello scudetto, solo quello ufficiale, ma ognuno andrà comunque dietro il suo, e troverà mille motivi per bestemmiare quello della Federazione. Siamo o non siamo il Paese che ha la classifica più immaginifica del mondo, quella depurata dagli errori arbitrali? Metti un rigore lì, aggiungi un’espulsione qua, ed è tutto un altro campionato.

Sigmund Freud, insieme a tutta la sua scuola, «si è ritenuto in diritto di affermare che, in fondo, nessuno crede alla propria morte, o, il che è lo stesso, ciascuno è inconsciamente convinto della propria immortalità». Capite? La morte! C’è qualcosa di più ineluttabile, di più incontrovertibile della morte? Eppure, l’uomo, sotto sotto (cioè inconsciamente), non ne vuol sapere: non se ne fa capace. Se questo è vero, non sarà diverso per il tifoso e la sua squadra, anche quando fosse messo dinanzi al muro di numeri dell’algoritmo. Parafrasando il padre della psicoanalisi, potremmo infatti considerarci in diritto di affermare che nessun tifoso gli crederà, ciascuno rimarrà sempre convinto, in cuor suo, che le cose non stanno affatto come l’algoritmo gliele mette: altro che oggettività, imparzialità, giustizia! C’è il trucco, i numeri sono truccati. Non ci vuol molto, del resto, a capirlo: il miglior trucco è proprio quello che si cela dietro i numeri, perché i numeri forniscono il migliore alibi (un po’ come certi esperti in tempi di pandemia, qualcuno adesso penserà: ma non voglio aprire quest’altro fronte). Se devi far passare una certa tesi, la cosa migliore è che ci butti sopra una spolverata di numeri, e vedrai che la tesi, ammantata di scientificità, passerà.

Ma questo il tifoso lo sa, al tifoso non gliela dai a bere. E così dall’algoritmo al complotto orchestrato da poteri opachi che sovrintendono la procedura è un attimo. I numeri, diciamo la verità, non garantiscono dai brogli i risultati elettorali, la classifica sanremese e neppure l’audience televisiva: perché dovrebbero mettere a tacere ogni sospetto quando si tratta della seria A, che notoriamente… (continuate a piacere)?

Sto lavorando di fantasia, lo ammetto. Ma qualcosa di sensato si può dire. Che cioè la responsabilità ultima non è mai (o non è ancora) della macchina, ma dell’uomo che la guida. Se l’istituzione è affidabile, lo sarà pure il sistema che adotta, e se invece non lo è, certo non sarà l’algoritmo a restituirgli credibilità. Marotta, l’ad dell’Inter, si dice contrario all’algoritmo di Gravina perché non tiene conto dell’imprevedibilità del calcio, che è una ben strana obiezione, perché assegnare lo scudetto lanciando una monetina, il massimo dell’imprevedibilità, difficilmente sarebbe un buon sistema. Forse, semplicemente, Marotta non si fida di chi glielo propina, e dietro la sublime poesia del calcio imprevedibile cela la dura prosa della lotta per chi comanda in Federazione.  (Però tranquilli: col calcio giocato si riparte davvero).
 
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