Napoli, la tragedia di Pianura: «Chi sa ora deve parlare, voglio giustizia per Ciro»

Napoli, la tragedia di Pianura: «Chi sa ora deve parlare, voglio giustizia per Ciro»
di Melina Chiapparino
Martedì 2 Giugno 2020, 23:00 - Ultimo agg. 3 Giugno, 18:54
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«Non è accettabile la morte di Ciro ma non è accettabile nessuna morte in quel modo». Le parole di Annamaria Perrucci, sorella del 61enne soffocato da una colata di terreno in un cantiere edile a Pianura, sono piene di dolore e rabbia. La 54enne, che abita a pochi passi dalla casa del fratello e dal luogo dove ha perso la vita, non riesce ancora a credere che una tragedia simile possa essersi abbattuta sulla sua famiglia. La sofferenza è straziante «perché Ciro non potranno restituircelo» spiega Annamaria che raccogliendo le forze chiede «giustizia».

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Ciro è morto per il crollo di una porzione del muro di contenimento. Lei pensa si potesse evitare questa tragedia? 
«Quello che è accaduto nel cantiere è assurdo e inconcepibile. È chiaro che un luogo dove si eseguono scavi di quel tipo, debba essere messo in sicurezza e debba garantire protezioni ai lavoratori ma queste condizioni non c’erano. Noi familiari non sappiamo se i lavori fossero stati regolarmente autorizzati, probabilmente si tratta di attività abusive ma ci interessa sapere che tipo di misure erano state adottate nel cantiere per tutelare gli operai e la loro sicurezza. Il modo in cui è morto Ciro e l’operaio che si trovava con lui è assolutamente inaccettabile».
 

 

Voi familiari avete avuto spiegazioni al riguardo da parte della proprietà del cantiere?
«Non siamo stati contattati da nessuno e non sappiamo cosa sia accaduto poco prima del crollo e neanche perché Ciro fosse lì. Di sicuro, mio fratello non era da solo nel cantiere, per questo chiediamo che chiunque abbia visto o sentito qualcosa al riguardo, parli. Le persone che si trovavano con lui devono raccontare la verità e spiegare cosa è accaduto realmente. Vogliamo trasparenza perché in questo momento c’è solo una gran confusione. A questo proposito, abbiamo precisato che Ciro non lavorava in quel cantiere».

Come mai suo fratello si trovava nel cantiere?
«Ciro era tornato a casa e aveva detto alla moglie che portava un po’ di caffè ai ragazzi del cantiere e poi sarebbe rincasato. “Torno tra poco” le aveva detto. Doveva essere una questione di una manciata di minuti e, invece, non è mai più tornato. Era molto conosciuto nell’ambito dei lavori edili nel quartiere, perché si era dedicato a questo lavoro per tanti anni. In particolare, quegli scavi si trovano vicino la sua abitazione quindi conosceva gli operai ma non lavorava in quel cantiere così come da tanti anni non si occupava più di manovalanza operaia, né di costruzioni perché aveva un lavoro stabile».
 


Quindi Annamaria, lei come si spiega il coinvolgimento di Ciro nel crollo?
«C’è da chiarire che Ciro da più di dieci anni non eseguiva lavori edili perché era entrato nell’azienda Asìa e anche la turnazione che aveva non gli permetteva di fare altro. Certamente non si tirava indietro quando si trattava di aiutare amici o conoscenti ma in quel caso mio fratello non è mai stato retribuito e non ha mai fatto qualcosa per speculare. Ho immaginato che quella mattina, una volta giunto sul cantiere, qualcuno gli abbia potuto chiedere un parere o magari un aiuto e lui, di certo, non lo ha negato. Era un uomo generoso e, forse proprio questa sua disponibilità gli è stata fatale. Ora vogliamo la verità».

Dopo questo dramma, qual’è la priorità per voi familiari?
«Ormai nessuno può restituirci Ciro che era un pilastro per la sua famiglia e per noi otto fratelli, quindi l’unica cosa che chiediamo è che sia fatta giustizia e chiarezza sull’accaduto. Vogliamo sapere la verità sia sul cantiere e sui lavoro che stava eseguendo, e sul perché Ciro si fosse trattenuto al suo interno. Proviamo tanta rabbia e dolore perché non riusciamo a farci una ragione di questa tragedia che ci ha negato anche la possibilità di piangerlo e stargli vicino». 

Posso chiederle l’ultimo ricordo che ha di Ciro?
«Gli ho tenuto la mano quando lo hanno estratto dal cumulo di terra che lo aveva sotterrato. Non ho detto una parola ma l’ho stretto a me. Avevamo aspettato tre ore, sperando che potesse salvarsi o che non fosse stato sotterrato. Per fortuna, le forze dell’ordine ci hanno permesso di vederlo, prima che fosse portato via ma ci auguriamo che verranno presto eseguiti gli esami legali, per dargli pace con una cerimonia. Prima del crollo, lo avevo visto una settimana fa mentre stava comprando il pesce, occupandosi come sempre della sua famiglia anche nelle piccole cose».

Come ricorda suo fratello?
«Ci sentivamo ogni giorno e ci vedevamo spesso ma questa è una caratteristica della nostra famiglia.
Siamo tanti ma tutti uniti. Lui, padre di tre figli, era il secondogenito di otto fratelli e da meno di quindici giorni aveva avuto il primo nipotino maschio, battezzato con il suo nome, oltre a due nipotine. È sempre stato una persona su cui poter contare e a cui tutti noi facevamo riferimento se avevamo qualsiasi tipo di problema. Lui c’era sempre. Adesso mi hanno strappato un pezzo di cuore e la moglie e i figli sono lacerati dal dolore perché non si può morire così».

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