L'oncologa Adriana Bonifacino: «Spero che le donne si vogliano più bene e facciano prevenzione per il tumore al seno»

La dottoressa Adriana Bonifacino
La dottoressa Adriana Bonifacino
di Valentina Venturi
Venerdì 26 Giugno 2020, 13:04
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«Spero che le donne si vogliano più bene, facciano prevenzione primaria e siano più egoiste!». Se l’augurio viene da Adriana Bonifacino, responsabile dell’Unità di Diagnosi e Terapia in Senologia, U.O.C. di Oncologia Medica presso l’A.O.U. Sant’Andrea  - Università Sapienza di Roma e docente della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza, la battuta assume un senso precipuo. La dottoressa di recente ha pubblicato con Laura Berti il volume “Le donne mi chiedono. Il tumore del seno: le conoscenze, la consapevolezza, la cura di sé che aiutano a prevenirlo e combatterlo”, edito da Sperling & Kupfer. Un manuale adatto a chi deve fare divulgazione, a chi sta attraversando il periodo di cura e a chi lo ha già attraversato. Una sorta di vademecum diviso in capitoli, perché noi donne «pensiamo sempre a tutti e giochiamo ancora troppo di rimessa. La donna che sente la diagnosi del tumore spesso si gira e tiene le mani del marito vicino, perché poverino è lui che ha lo choc. Invece se voi state bene stanno bene anche gli altri: lo dovete innanzitutto a voi stesse».
 
Cosa chiedono in genere le donne?
«Le domande sono molteplici. Negli ultimi anni le donne sono cresciute in consapevolezza. Non so se anche grazie ad internet, ma di certo con le campagne di sensibilizzazione».
 
Si sconsiglia di cercare informazioni mediche su internet. Lei che ne pensa?
«Non si deve avere un atteggiamento di chiusura: non aiuta il paziente e neanche il rapporto empatico. Noi medici dobbiamo capire che ormai è normale cercare informazioni in rete, chi non lo fa è perché ha tremendamente paura. Quindi quando vengono da noi dobbiamo aiutarli a capire cosa c’è di giusto e di sbagliato. È un lavoro in più che dobbiamo fare».
 
Qual è l’età giusta per uno screening?
«Spesso i programmi di screening iniziano a 50 anni o in alcune Regioni a 45, ma sono progetti iniziati negli anni 70. Ora conosciamo fattori di rischio in più, conosciamo la genetica e che quasi il 30% dei tumori al seno è nelle ragazze tra i 30 e i 40 anni. Dobbiamo iniziare prima la prevenzione».
 
È vero che le giovani affrontano meglio l’eventuale caduta dei capelli?
«Alcune non portano niente, nemmeno la parrucca. Preferiscono un cappellino, o un foulard. Invece la donna di mezza età, anche per un fatto culturale, si sente a disagio. Le ragazze si rasano anche per estetica, quindi c’è un’immagine diversa di se stesse; invece la donna più attempata è abituata a un determinato stereotipo e per lei vedere cadere i capelli è più grave».
 
Quali sono i dati attuali?
«In Italia in questo momento ci sono 37 mila donne metastatiche di tumore del seno che continuano a vivere grazie ai trattamenti innovativi, grazie alla medicina personalizzata e grazie ai centri di senologia oncologici, sempre più all’avanguardia».
 
Che peso ha il caregiver?
«Fondamentale. Dico sempre alle pazienti: “Su questo carrozzone fateci salire solo persone positive, che riescano a darvi uno sprint, una motivazione in più”».
 
Quando ha deciso di scrivere “Le donne mi chiedono”?
«Dentro ci sono i miei primi 40 anni di vita professionale. Lavorando a stretto contatto con Umberto Veronesi, ho imparato tanto. Veronesi nel 1996 aveva scritto “Le donne devono sapere”; poi nel 2006 “Le donne vogliono sapere”, perché da persona che ha precorso i tempi, aveva compreso che nelle donne nasceva una nuova consapevolezza. E nel 2016 avrebbe dovuto scrivere il terzo libro, ma non è stato possibile… La Mondadori ha pensato che io potessi rappresentare la continuità del discorso alle donne».
 
Il professore Veronesi cosa ha lasciato?
«Alle donne, ma direi a tutti visto che nel 2% dei casi il tumore del seno colpisce anche l’uomo e quindi anche le famiglie, Veronesi ha lasciato una rivoluzione grazie alla quadrantectomia e al linfonodo sentinella. Diceva sempre: “Dobbiamo passare dal massimo trattamento tollerabile, al minimo trattamento efficace”. E tra queste due frasi in mezzo c’è la parola prevenzione. Veronesi ne è stato un grande promotore».
 
Mentre a lei?
«L’empatia, il consiglio di essere più vicini possibile al paziente. Un sorriso fa molto di più di molte terapie».
 
Cosa è "Frecciarosa"?
«La campagna nazionale di sensibilizzazione e prevenzione, in partnership con il Ministero della Salute, Ferrovie dello Stato Italiane e Farmindustria. Quest’anno sarà la decima edizione, rivoluzionata per il covid. Come diciamo da tempo il cancro non si ferma con la quarantena né davanti al covid: le persone sono come imprigionate da un raggio laser del virus, immobili per il rispetto delle regole che ci devono essere, però dobbiamo riprendere la prevenzione. E noi dalle criticità trarremo delle opportunità: quest’anno incontreremo molte più persone online attraverso i teleconsulti in tutta Italia. Il primo anello della prevenzione deve essere portato alla gente, non devi aspettare che siano loro a venire da te».

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