Un alveare per abitare le stelle
napoletani al ​Nasa Space Apps

Il team di "Bee Space", finalisti al Nasa Space Apps 2017
Il team di "Bee Space", finalisti al Nasa Space Apps 2017
di Cristian Fuschetto
Martedì 6 Giugno 2017, 15:23
5 Minuti di Lettura

Anche i cosmonauti cazzeggiano e, con buona pace delle architetture iperfunzionaliste delle stazioni orbitali, il nuovo trend dettato dalla Nasa punta su relax e divertimento. A intercettare meglio di altre migliaia di progettisti di tutto il mondo le esigenze dettate dall’Agenzia spaziale americana è stato un team di studenti partenopei, Bee Space, che con Home Lab è stato selezionato tra i cinque Global Finalists per la categoria Best Mission Concept della Nasa Space Apps 2017, il più grande hackathon (chiamata alle idee) internazionale per squadre di studenti, ingegneri e giovani programmatori. «Vivere a lungo in ambienti isolati, a migliaia di chilometri dalla Terra, passando l’intera giornata ad analizzare e raccogliere dati, produce dei livelli di stress molto alti. In quelle condizioni anche una camera da letto leggermente più grande può fare la differenza tra una missione riuscita e una meno», spiega Francesco Perrelli, uno dei nove giovani talenti di Bee Space
 


Freschi di studi in progettazione 3D e, soprattutto, animati da quell’ineffabile entusiasmo che nel tempo libero ti fa cercare su PubMed – come fosse la cosa più normale da fare per un qualunque universitario – studi medici sugli effetti psicologici del lavoro in contesti chiusi, i talenti federiciani (Francesco Perrelli, Davide Mango, Davide Testa, Alessandro Martucci, Alessio Ianniello e Antonio Minutillo, Armando Mocerino, Andrea Raia, tutti studenti di studenti in Ingegneria Aerospaziale, e Daniele Del Guercio, futuro  ingegnere dell'Automazione) hanno partecipato al challenge tenuto lo scorso aprile a Napoli e in altre 200 città del mondo, tra cui Roma, Milano, Torino e Vicenza. Tema scelto: progettazione di ambienti di ricerca isolati per missioni spaziali. Svolgimento: case modulari a nido d’ape colorate e sufficientemente spassose. Alla competizione locale sono arrivati secondi, ai giudici americani sono tuttavia piaciuti di più. 

Un alveare per allenarsi alla vita galattica 
Chiamati a immaginare una base di isolamento sulla Terra per simulare future missioni extraterrestri, i futuri ingegneri della Federico II si sono ispirati alla natura. Home Lab (Hexagonal Open Modular Environment) è una sorta di Lego formato da celle esagonali simili a quelle degli alveari: una forma geometrica che permette di minimizzare il consumo di materiale massimizzando lo spazio. Tra loro componibili, le celle ( nove metri quadri l’una) garantiscono la possibilità di cambiare configurazione e, se necessario, di espandere la struttura. L'hab, manco a dirlo, prevede soluzioni ecosostenibili come pannelli solari (sia sul tetto delle celle sia all'esterno), sistemi di accumulo e riutilizzo dell'acqua piovana, utilizzo di materiali biocompositi e tecnologie per il riciclo. Tutte cose molto buone ma in gran parte già sperimentate, per esempio sulla Stazione Spaziale Internazionale o nell’Hi-Seas (Hawai’i Space Exploration Analog and Simulation), l’angolo più marziano che ci sia sulla terra: una cupola allestita a 2.400 metri sul vulcano Mauna Loa, alle Hawaii, finanziata dalla Nasa per preparare le future missioni sul Pianeta rosso. 

Il gioco è una cosa seria
A segnare il valore aggiunto di Home Lab rispetto al già visto è, per così dire, l’umanizzazione di un ambiente di lavoro estremo. «Abbiamo proposto varie tecniche e soluzioni per ridurre al minimo lo stress – continua Francesco – come pareti colorate a seconda della stanza, possibilità di far ricorso a pet therapy e installazioni di realtà aumentata da destinare non solo all’addestramento come accade oggi, ma molto più semplicemente da destinare al gioco». Il gioco è una cosa seria, ripeteva Jean Paul, almeno quanto il dormire. E infatti i ragazzi di Bee Space hanno lasciato più spazio di quanto finora previsto dagli standard  alle camere da letto. Forti della letteratura medica e psicologica hanno dedicato un intero modulo di nove metri quadri alla camera. «Per mettere il ricercatore nelle condizioni di lavorare bene non basta dargli il necessario per dormire, occorre farlo riposare. Il che rende le cose un po’ più complesse», ammette con un sorriso Francesco. Per parafrasare quello che si dice degli ingegneri, gli scienziati non si limitano a funzionare ma vivono. Un dettaglio spesso dimenticato dagli addetti ai lavori. 

Non solo spazio 
Seppure progettata in base ai requisiti richiesti dalla Nasa, e cioè per simulare un ambiente di ricerca extraterrestre e in isolamento per nove ricercatori, la modularità e flessibilità del progetto lo rendono applicabile anche in numerosi altri campi: ripari d'emergenza a seguito di catastrofi naturali, strutture temporanee per fiere, concerti o altri eventi pubblici, o eventualmente anche abitazioni a basso costo.

Nasa Space Apps, solo due progetti italiani in finale
Oltre a quello napoletano, che gareggia per la categoria Best Mission Concept, i giudici della Nasa hanno scelto solo un altro progetto italiano, Firedrones del team di Vicenza SHC per la categoria Best Use of Hardware. In totale sono stati dunque selezionati 25 team in tutto il mondo, cinque finalisti per cinque categorie. Le altre tre categorie, ai quali non ha avuto accesso alcun team italiano, sono Most Inspirational, Best Use of Hardware e Galactic Impact.

Per ciascuna categoria sarà poi selezionato un team vincitore e i premiati potranno assistere dal vivo al lancio di una missione spaziale.
Un’esperienza conquistata lo scorso anno dal team romano Ice Cream arrivato in finale nella categoria Galactic Impact con un progetto di monitoraggio dei ghiacciai e riscaldamento terrestre attraverso lo sfruttamento di dati provenienti dai satelliti.  Non sarebbe male se l’Italia riuscisse a bissare l’exploit del 2016. Se non proprio in tutte e due le categorie che vede impegnati i nostri giovani ricercatori, almeno nel Best Mission Concept.

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