Croce diventa 4.0: gli informatici
contaminano Palazzo Filomarino

Croce diventa 4.0: gli informatici contaminano Palazzo Filomarino
di Cristian Fuschetto
Giovedì 11 Gennaio 2018, 09:24
5 Minuti di Lettura
Immaginare ingegneri informatici e sistemisti discutere di etica, diritto e robotica cognitiva con storici e filosofi, è già di per sé un'esperienza singolare. Immaginare che lo facciano a Palazzo Filomarino ha qualcosa di surreale. Un po’ come rappresentarsi dei marxisti discettare su ateismo e materialismo dialettico nella Cappella Sistina. Eppure tutto è possibile, come canta il menestrello del rock “i tempi cambiano” e laddove il padre dello storicismo assoluto teorizzava la differenza tra i “concetti” della logica e gli “pseudoconcetti” delle scienze, oggi si assiste al matrimonio tra “Tecnologie digitali e scienze umane”. E’ questo il titolo dell’ambizioso ciclo di seminari che prenderà inizio venerdì 12 gennaio in quella che fu la casa-laboratorio di Benedetto Croce.

Ventre: In futuro dottorati per filosofi e informatici 
«Inutile nasconderselo, mettere insieme algoritmi e filosofia morale è una bella sfida e riuscire a farlo sotto gli auspici di Croce ha un significato fortissimo, quei luoghi hanno visto fermentare e crescere il meglio della cultura italiana e dello spirito europeo del 900. Non è un corso come tanti altri», ammette Giorgio Ventre, direttore del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione della Federico II (Dieti) nonché direttore scientifico dell’iOS Developer Academy. «Per fortuna ho fatto il Liceo Classico e una certa sensibilità non mi manca», aggiunge con un sorriso, quasi come a voler far intendere che diversamente da quel che si dice degli ingegneri si sente vaccinato dal rischio di limitarsi a "funzionare". «Ad Harvard è diventato normale che giuristi e filosofi lavorino insieme a tecnologi, con questi seminari rafforziamo anche a Napoli traiettorie di ricerca interdisciplinare e, perché no, poniamo le premesse per la nascita di nuovi dottorati in cui approfondire in modo sistematico i cambiamenti dettati dal digitale in una prospettiva storica, filosofica e giuridica».

Istituto di studi storici, si ragiona sul futuro 
In programma fino a maggio, questo primo ciclo di seminari promosso dal Dieti e dall’Istituto Italiano di Studi Storici (qui il programma completo) è destinato ai dottorandi di ingegneria e ai borsisti dell’Istituto, chiamati a confrontarsi su temi che in fin dei conti riguardano la trasformazione tecnologica del quotidiano: apprendimento automatico delle macchine, intelligenza artificiale, tutela della privacy in un mondo in cui non c’è informazione che non sia on-demand, interazione uomo-robot. I corsi saranno animati da studiosi di livello internazionale come Guglielmo Tamburrini, Remo Bodei, Alberto Finzi, Barbara Henry, Luigi Sauro, Maurizio Ferraris, Anna Corazza, Gino Roncaglia, Piero Andrea Bonatti e Giovanni Buttarelli.

Il dialogo mancato tra scienza e filosofia: colpa di Croce?
Temi, problemi, interconnessioni e confronti che testimoniano come meglio non si potrebbe l’equivoco intellettuale delle “due culture”, equivoco alimentato secondo molti interpreti proprio dallo stesso Croce. Oltre all’infelice distinzione tra concetti e pseudoconcetti, nella “Logica” don Benedetto denuncia da par suo la “matematizzazione” che mutila la “vivente realtà del mondo”, e ancora ne “La storia come pensiero e come azione” sottolinea l’“ufficio utile” della scienza non certo quando «compie astrazioni, costruisce classi, stabilisce rapporti tra le classi che chiama leggi, formula matematica e simili. Tutti codesti sono lavori di approccio indirizzati a salvare le conoscenze acquistate e a procacciarne di nuove, ma non sono l’atto del conoscere». La scienza non conosce? Certo Croce non arriverà ad affermare, come ha invece fatto il maître à penser del Novecento Martin Heidegger, che “la scienza non pensa”, ma qualche ambiguità nella complicata relazione tra umanisti e scienziati ha senz'altro contribuito ad alimentarla. Tuttavia, da qui a dire che l’Italia sarebbe scientificamente arretrata per colpa sua ce ne passa eccome, tanto che persino un anticrociano come Ludovico Geymonat ha sempre contestato questa lettura come un “mito storiografico”.

Chi guida (davvero) un'auto con intelligenza artificiale?
Croce puntava il dito contro le semplificazioni del positivismo non contro i saperi scientifici tout court, tanto da arrivare a descrivere (nella terza edizione della Logica) la sua filosofia come una “difesa della scienza”. Insomma, bisogna intendersi sul concetto di scienza perché, come tutte le cose, la scienza ha una storia, cambia col tempo e attraverso di essa cambia anche la realtà. Siamo cresciuti con auto, abiti ed edifici “muti”, incapaci di rispondere, comunicare, apprendere o memorizzare. Oggi il mondo offline sta gradualmente diventando interconnesso, la realtà cambia forma e diventa un’"infosfera". «Oggi la tecnologia è pervasiva – spiega Ventre – e va declinata anche in saperi che un tempo avremmo ritenuto del tutto innaturali. Prendiamo le automobili con frenatura autonoma. Sono utilissime, rendono più sicura la guida, ma in caso di incidenti di chi è la colpa, dell’automobilista o del sistema frenante?». Le auto saranno equipaggiate in modo sempre più consistente da apparati di intelligenza artificiale e allora occorre cominciare a chiedersi chi guiderà veramente queste auto: l’uomo o la macchina? Chi è il soggetto e chi l’oggetto? Ecco come una questione tecnologica diventa immediatamente filosofica.  

Tra democrazia e dittatura degli algoritmi
«Se inoltre ci domandiamo quali regole seguire per decidere della diffusione di certe tecnologie, se abbia senso o meno mettere dei sistemi automatici nelle automobili o fino a che punto autorizzarne l’efficacia, ecco che ci troviamo su territori ancora diversi, tra diritto e politica». E a tal proposito Ventre cita il caso di alcune città americane, come New York e Chicago, in cui la distribuzione delle pattuglie della polizia per strada o dei presidi dei vigili del fuoco nei quartieri urbani sono decisi da algoritmi sulla base dei tassi di criminalità, censo, statistiche relativi a furti e incidenti e così via. «In questi casi la domanda è: quei cittadini sanno di essere amministrati da algoritmi? E, nel caso in cui volessero capire come funzionano, sarebbe legale, e prima ancora morale, chiedere a società che hanno inventato quei sistemi di renderli pubblici e andare contro i propri legittimi interessi?». A porre questioni filosofiche è un ingegnere. Don Benedetto ne sarebbe fiero.
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