Restituire il mondo a chi non ce l'ha:
sordo-ciechi, un'app cambia la vita

Restituire il mondo a chi non ce l'ha: sordo-ciechi, un'app cambia la vita
di Cristian Fuschetto
Sabato 16 Dicembre 2017, 15:01
5 Minuti di Lettura
Non poter parlare eppure riuscire a esser ascoltati, non poter vedere né sentire eppure riuscire a non restare soli. Basta un giocattolo, un odore, un banalissimo sensore e uno smartphone. A vincere quel che la logica e un inerte realismo avrebbero bollato come una sfida impossibile è oggi il lavoro di specialisti e di tecnologie relativamente semplici. C’è per esempio un’app che trasforma qualsiasi smartphone in un’efficace interfaccia tra persone sordo-cieche e chi li circonda, restituendo a vite segnate dal bisogno una sorprendente autonomia. A sviluppare l'applicazione è la Smarted, startup nata dal NAC - Laboratorio di Cognizione Naturale e Artificiale della Federico II, che in collaborazione con la Walden Technology  ha realizzato quel che in gergo si chiama uno Speech-Generating Device (SGDs), un dispositivo per la produzione vocale. Di tecnologie assistive nel campo della riproduzione vocale ce ne sono decine, eppure il sistema concepito dalla Smarted promette di compiere una piccola rivoluzione. Il Walden Personal Communicator (Wpc) prende infatti il meglio della tecnologia esistente e lo rende al tempo stesso più potente e più facile da usare. Vediamo come.

Comunicazione alternativa, come far breccia in muri di silenzio  
I sistemi di “Comunicazione Aumentativa e Alternativa” aiutano le persone con gravi disabilità nel linguaggio orale a interagire con gli altri, non solo sordo-ciechi ma anche pazienti affetti da particolari disturbi della sfera cognitivo-comportamentale. Questi sistemi sono sostanzialmente di due tipi: o sono basati sulla produzione vocale attraverso sintetizzatori (Sgds), oppure si basano sullo scambio funzionale di immagini stampate su carte (Picture Exchange Communication System - Pecs): il disegno di un gioco per dire che si ha voglia di giocare, di un persona o di un’azione per chiedere di qualcuno o di fare qualcosa. Sia gli uni sia gli altri rappresentano indispensabili strumenti per aprire brecce in muri di silenzio, ma come tutte le tecnologie presentano delle criticità. Un messaggio generato da un sintetizzatore, per esempio, per poter essere ascoltato deve essere trasmesso a un volume piuttosto alto. Questo significa che può essere difficilmente usato in ambienti comuni come un’aula scolastica o un normale gruppo di lavoro o, per altri versi, vincola il caregiver a stare nelle immediate vicinanze (nella stessa stanza) della persona con disabilità. D’altra parte, i sistemi basati su immagini sono rigidi, vincolati a un numero limitato di messaggi perché difficilmente modificabili da personale non esperto. Se per aggiungere nuove immagini e nuove frasi è necessario l’intervento di un programmatore il rischio di rallentare la fluidità del rapporto tra utente e caregiver è più che concreto.  

Schermi per parlare con mani e odori  
Il software realizzato dal team di Smarted supera i limiti dei due sistemi attuali traghettandone il meglio su quanto di più familiare possa esserci in un mondo digitalizzato: gli schermi intelligenti di smartphone e tablet. «Grazie alla possibilità di usare i touch-screen – spiega Raffaele Di Fuccio, esperto di tecnologie dell’educazione, tra i fondatori di Smarted e ricercatore del NAC – abbiamo messo insieme la metodologia Pecs con quella degli Sgds. Il nostro software consente a un paziente con gravi difficoltà di linguaggio di selezionare sullo schermo del tablet le immagini che attraggano i suoi interessi o che esprimono i suoi bisogni. In questo modo il sistema provvede a inviare la produzione del file sonoro associato a quella immagine sul dispositivo dell’educatore o del genitore». Il “vocabolario” dell’app, disponibile su piattaforma Android, non si limita alle sole immagini ma mette il telefono in comunicazione con oggetti tangibili. Un pupazzo, modellini, forme, qualsiasi cosa purché “aumentata” da una comunissima etichetta Nfc (Near Field Communication), una sorta di adesivo che tagga e trasmette informazioni ai dispositivi riceventi. Un bimbo sordo-cieco potrà riconoscere un pupazzo tastandolo con le mani, avvicinarlo a una tavoletta (la superficie di un tablet) e trasmettere il messaggio al telefono del caregiver sul quale apparirà quel pupazzo o anche il messaggio vocale “giochiamo insieme?”.
«Se non posso vedere né sentire  – continua Di Fuccio – posso tuttavia toccare. Non solo, posso anche odorare. E allora perché non sfruttare l’olfatto per costruire ponti e potenziare l’iniziativa comunicativa delle persone con questo tipo di disabilità?». Piccoli campioncini profumati diventano così altrettanti messaggi da trasmettere alle persone vicine. E se è vero che a nutrire lo spirito è la possibilità di condividere emozioni e bisogni diventa chiaro come questa tecnologia possa trasformare anche l’oggetto più banale in un interruttore in grado dare luce al mondo. Possa anzi fare la differenza tra avercelo o non avercelo, un mondo.

Le prime sperimentaizoni con la Lega del Filo d'Oro
«Le persone con disabilità gravi e multiple – spiega Carlo Ricci, docente di Psicologia della Disabilità e della Riabilitazione presso l’Università Salesiana di Roma – possono variare estesamente riguardo alle loro caratteristiche essenziali e alle loro abilità specifiche, ma sono spesso accomunate da una tendenza alla passività e alla dipendenza. Questo stato di cose può essere accentuato senza procedure e tecnologie di intervento specifiche». Ricci è anche presidente del Comitato tecnico scientifico ed etico della Lega del Filo d'Oro e proprio su un campione di persone sordocieche con disabilità multiple assistite dal centro di Osimo  sono stati effettuati i primi esperimenti del Walden Personal Communicator. «I risultati hanno mostrato che il numero di richieste effettuate dai partecipanti era pressoché pari a zero prima di utilizzare il comunicatore, mentre dopo 10-12 sessioni di intervento i partecipanti erano in grado di fare varie richieste facilmente comprensibili allo staff e, quindi, prontamente esaminate ed esaudite» sottolinea Ricci. A conferma delle potenzialità dell'applicativo sviluppato dal team di ricercatori partenopei sono stati di recente pubblicati anche due studi su riviste internazionali, l'Advances in Neurodevelopmental Disorders (qui il link all'articolo) e l'International Journal of Developmental Disabilities (qui il link all'articolo).

Tecnologie concepite a partire dalle persone 
Come gruppo di ricerca siamo impegnati da qualche anno sul fronte dell’innovazione nei contesti educativi e riabilitativi» conclude Orazio Miglino, docente di Psicologia dello Sviluppo alla Federico II e direttore del NAC. «La tecnologia, è evidente, svolge una funzione fondamentale sia per rinforzare metodologie già consolidate sia per sperimentarne di nuove. Ma la tecnologia è solo un pezzo del cammino, la parte più importante la fanno le persone. Nel caso del Wpc, per esempio, la tecnologia da sola non basta. Al centro c’è la persona disabile, di fianco operatori che sanno usare delle tecnologie e che, anzi, le costruiscono insieme a loro». Bisogna conoscere in profondità il mondo, per molti versi imperscrutabile, delle persone con deficit percettivi e cognitivi molto complessi come la sordocecità anche solo per immaginare delle possibili azioni di intervento e, al tempo stesso, è necessario padroneggiare codici, linguaggi e potenza computazionale delle tecnologie digitali per immaginarne declinazioni in grado di restituire porzioni di mondo a chi ne sarebbe rimasto escluso. La colonizzazione del reale da parte dei bit può essere una buona notizia e far sì che le tecnologie non siano altro che la continuazione dell'umanesimo con altri mezzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA