L'etica dei saperi
tra macchine e lavoratori

L'etica dei saperi tra macchine e lavoratori
di Orazio Miglino *
Sabato 30 Dicembre 2017, 18:00
4 Minuti di Lettura
Siamo all'inizio di un confronto epocale tra l'emergente intelligenza degli agenti artificiali (che un tempo avremmo chiamato macchine) e la creativa vitalità degli agenti naturali (che un tempo avremmo definito lavoratori). L'etichetta sotto la quale si è ragionieristicamente rubricata la rivoluzione in atto la conosciamo tutti, Industria 4.0, e come tutte le etichette serve a tenere insieme saperi e pratiche anche molto distanti tra loro. A volte in apparente contraddizione. In questo avvio di partita il nodo da sciogliere è, a parer mio, il seguente: sapremo noi, gli agenti naturali, indirizzare l'interazione con gli agenti artificiali verso forme di cooperazione e competizione vantaggiose per la nostra sopravvivenza? Sapremo relazionarci ai robot in modo da promuovere il benessere individuale e sociale di tutta l'umanità? A questa sfida si potrà cercare di rispondere solo includendo nello sviluppo dell'Industria 4.0 i temi di ricerca e le metodologie proprie delle Scienze Umane e Sociali. E non come orpello alle scienze dure, ma in modo strutturale e sistematico. Dal mio punto di vista, ovvero quello di uno psicologo-ricercatore impegnato a cercare di comprendere la cognizione naturale attraverso la sua ricostruzione in sistemi artificiali, vedo il fondamentale ruolo delle Scienze Umane e Sociali esplicarsi su almeno cinque dimensioni di intervento. Provo brevemente ad elencarle.

Dimensione Costruttiva. L'intelligenza degli agenti artificiali, come sempre accade nei casi di epocali imprese (in parte) ingegneristiche, deve necessariamente fondarsi sulla base di consolidate teorie scientifiche. In sostanza, come quando si vogliono costruire ponti non si può prescindere dalla Statica, così la realizzazione di un'Intelligenza Artificiale minimamente complessa non può fare a meno delle teorie sviluppate in Psicologia e Neuroscienze.

Dimensione Etica. L'individuazione e la risoluzione dei problemi etici posti dall'industria 4.0 saranno il perno su cui si potrà valutare se l'impresa sarà un buono o un cattivo affare per l'umanità. Già ora di problemi se ne intravedono diversi. Per esempio, nel mio settore di ricerca, Intelligenza Artificiale e dintorni, il nodo che si sta già affrontando è rappresentato dal dibattito su quanta autonomia decisionale (o di libero arbitrio) siamo disposti a concedere agli agenti artificiali. In un prossimo futuro, nemmeno tanto lontano, ci dovremo chiedere se vogliamo dare agli agenti artificiali la possibilità di riprodursi e auto-generarsi innestando dei veri e propri processi di evoluzione artificiale. Si passa qui nel campo che gli studiosi chiamano con apparente ossimoro Vita Artificiale.

Dimensione politico-sociale. La tendenza a ridurre sempre più l'intervento umano nella produzione di beni e servizi sta già sconvolgendo la tradizionale distribuzione della ricchezza prodotta dalla produzione industriale. La formulazione del problema che le scienze sociologiche, giuridiche ed economiche dovranno affrontare mi sembra estremamente allarmante nella sua semplicità: la quota di ricchezza prodotta dagli agenti artificiali a chi andrà? Come si sosterrà la massa dei lavoratori (o agenti naturali) espropriati dal proprio impegno?

Dimensione educativa-formativa. La peculiarità dei processi produttivi dell'Industria 4.0 implicano un profondo ripensamento dei processi formativi, sia di coloro che presiedono alla progettazione e alla realizzazione dell'infrastruttura industriale, sia dei professionisti che si troveranno a gestire il ciclo produttivo. In ambedue i casi occorrerà immaginare dei corsi di studio e apprendistato in grado di formare delle figure professionali in cui le conoscenze e competenze tecniche-ingegneristiche siano armonizzate con una profonda conoscenza delle teorie e metodologie provenienti dalle Scienze Umane. Infatti, sia la costruzione di agenti artificiali sia il governo della co-esistenza produttiva dei sistemi naturali con quelli artificiali, necessitano di figure professionali ibride che sappiano armonizzare conoscenze e competenze proprie dell'Ingegneria e dell'Informatica con quelle della Psicologia, delle Neuroscienze e della Filosofia.

Dimensione economica-sociale. Infine, l'immenso patrimonio culturale tipico degli studi umanistici (come per esempio quello accumulato in ambito Filologico, Storico, Archeologico, Etno-Antropologico) declinato con le potenzialità delle nuove tecnologie rappresenta una enorme opportunità per immaginare prodotti e servizi rivolti al benessere cognitivo degli esseri umani. In fin dei conti una delle chiavi di benessere degli esseri umani è il soddisfacimento della voglia o della necessità di conoscere. Alcuni indirizzano tale pulsione verso la partecipazione ossessiva al gossip dei social, altri verso l'esplorazione in vari modi di culture temporalmente distanti. Tutti siamo disposti ad accogliere con benevolenza gli strumenti che potenzino i nostri atti di conoscenza (leggere, viaggiare, informarsi, comunicare, riflettere). Già timidamente si affacciano sui nostri cellulari degli assistenti (artificiali) che ci aiutano in molte funzioni cognitive. Se in futuro potremmo contare su degli assistenti molto colti e poco spocchiosi sono sicuro che saranno bene accolti.

Ma quale sarà il ruolo della comunità industriale, accademica e culturale partenopea in questo strisciante movimento rivoluzionario? Potrebbe apparire facile retorica, ma sinceramente penso che la cultura napoletana sia un terreno fertile per accogliere lo sviluppo di una Industria 4.0 economicamente soddisfacente e umanamente sostenibile. Napoli ha dato ampie prove di sostenere l'avvio di avventure culturali con una marcata propensione all'interdisciplinarità e all'innovazione. Qui sono nate per prima in Europa istituzioni di ricerca e di cultura scientifica fondate sulla cooperazione tra i saperi, si pensi per esempio all'Istituto di Cibernetica del CNR, al Centro ricerche Olivetti, al TIGEM, al CEINGE, a Città della Scienza. Speriamo, però, di non ricadere nell'inesorabile ciclo vichiano che ha visto Napoli prima culla di tante imprese culturali d'avanguardia ma poi anche la loro prima immeritata e definitiva tomba. Vedo intorno a me un clima accademico e industriale in fermento e già in attività, le competenze umane e professionali in campo sono notevoli. Sono sicuro che ancora una volta Napoli ci sorprenderà. Non so però se nel bene o nel male.

* Università degli Studi di Napoli Federico II
© RIPRODUZIONE RISERVATA