Manfredi: «Lo Stato investa
perché il lavoro sia di qualità»

Manfredi: «Lo Stato investa perché il lavoro sia di qualità»
di Marco Esposito
Martedì 5 Dicembre 2017, 10:13 - Ultimo agg. 12 Dicembre, 09:33
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Il Censis nel suo ultimo rapporto descrive «un Paese invecchiato incapace di vedere nel Mezzogiorno una riserva di ricchezza preziosa per tutti». I ventenni del Sud sono fantasmi per questa Italia?

«È un tema nazionale - risponde Gaetano Manfredi, rettore della Federico II e presidente della Conferenza dei rettori - non si riesce a comprendere che nell'economia della conoscenza quel che conta di più è il capitale umano. La formazione e la valorizzazione dei giovani è decisiva ovunque, nel Mezzogiorno più di altrove perché se non si colma il divario di opportunità i giovani vedranno l'emigrazione come un destino obbligato dopo gli studi».

Anche prima di finire gli studi: molti ragazzi meridionali si iscrivono direttamente in atenei del Nord.
«Il fenomeno è molto forte in alcune regioni del Sud, meno in Campania. Vorrei esser chiaro: la mobilità è un valore. Chiediamoci quindi perché non vengono a studiare e a lavorare da noi. Il nostro impegno è per offrire ai ragazzi un'università di qualità, aperta, internazionalizzata, dove il merito sia la regola. Non sempre le politiche universitarie sono andate in questa direzione».

Parla di merito, ma intanto le cronache giudiziarie raccontano di professori che si assicurano le cattedre con metodi non edificanti.
«La malattia non è la norma. Tuttavia su questo tema il nostro rigore deve essere assoluto perché se il merito non è al centro di tutte le nostre scelte, le persone migliori semplicemente vanno via».

Quanto incidono le classifiche di qualità degli atenei nelle scelte degli studenti?
«Sono strumenti di marketing territoriale: fotografano più la qualità del contesto che l'offerta formativa degli atenei. Ma esistono e ci obbligano a migliorarci, lavorando insieme agli enti locali perché il contesto cambi».

Il calo demografico rende i giovani un «bene raro». C'è in corso una politica per trasferire tale risorsa al Nord?
«Il problema non è chi si trasferisce al Nord, il punto è diventare attrattivi noi. Abbiamo grandi bacini ai quali riferirci, dal Medio Oriente all'Africa. I corsi in inglese vanno in questa direzione. Ma il vero attrattore è dato dalla possibilità di trovare dopo la laurea un lavoro di qualità».

Facile a dirsi...
«In Campania abbiamo 2.000 ingegneri e 1.500 laureati in economia all'anno. Rappresentano un potenziale di sviluppo enorme. Se lasciamo che l'imprenditore faccia la sua scelta, continuerà a investire a Milano più che a Napoli, confidando nel fatto che i laureati si trasferiranno. Tocca allo Stato, alla politica, ribaltare questa situazione e creare le condizioni perché le imprese preferiscano investire a Napoli per attività di qualità: ricerca, innovazione. Gli investimenti vanno orientati verso Mezzogiorno. E tocca agli enti locali migliorare la qualità della vita, penso in primo luogo ai trasporti pubblici».

Gli iscritti all'università sono una minoranza dei ventenni del Sud. Come si inverte una situazione che ci vede in coda in Europa?
«In due modi. Da un lato le famiglie vanno informate perché comprendano che la laurea è decisiva per il futuro dei loro figli. Può sembrare una verità scontata, ma non lo è affatto. Poi deve diversificarsi l'offerta formativa in modo da dare una concreta opportunità di iscrizione per i ragazzi che escono dagli istituti tecnici e professionali, pochissimi dei quali oggi si iscrivono all'università».

A che soluzioni pensa?
«Alla Federico II stiamo mettendo a punto con l'Unione industriali un corso triennale di Ingegneria meccatronica, con meno teoria e una formazione più pratica, in linea con gli obiettivi di Industria 4.0. Partiremo il prossimo settembre».
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