Fontana, la testimone ai pm: il cognato sapeva in anticipo del contratto con la Regione

Fontana, la testimone ai pm: il cognato sapeva in anticipo del contratto con la Regione
Fontana, la testimone ai pm: il cognato sapeva in anticipo del contratto con la Regione
di Valentina Errante
Venerdì 31 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 1 Agosto, 00:42
5 Minuti di Lettura

«Ho un contratto di fornitura con la Regione Lombardia». Lo diceva dai primi di aprile Andrea Dini, il cognato del governatore Attilio Fontana che, nell’ultima settimana di marzo aveva cominciato a cercare i tessuti per i camici. Eppure è solo il 16 aprile, quando Aria, centrale di acquisti della pubblica amministrazione, sceglie, con la procedura d’urgenza dovuta all’emergenza sanitaria, l’offerta dell’imprenditore. Solo allora Dini firma un contratto da 513mila euro per 75mila camici (sei euro l’uno) e 7mila set sanitari. Nasce da queste circostanze il sospetto dei pm di Milano che ci fosse un accordo preesistente e che quando Dini decide di convertire la sua azienda, la Dama spa, che detiene il marchio Paul&Shark, sa di avere il contratto in tasca. Agli atti dell’inchiesta, che ipotizza il conflitto di interessi come presupposto dell’affidamento della fornitura, c’è il verbale della presidente di una onlus, la stessa alla quale il cognato di Fontana si rivolgerà per piazzare i 25mila capi che ha deciso di non consegnare alla Regione, dopo essere stato convinto dal presidente a trasformare il suo contratto in donazione. Circostanze che rischiano di aggravare la posizione del governatore, indagato solo per frode in pubbliche forniture, aggravata dall’avere bloccato la consegna di merce destinata a ovviare a un pericolo comune. Per i pm, Dini è stato indotto a interrompere la fornitura dal governatore «con l’espediente di trasformarla in parziale donazione», per superare il conflitto di interesse ma riducendo la quantità della merce «in modo da potere destinare la parte di camici non ancora consegnata al mercato». Il resto Fontana pensava di pagarlo di tasca propria col bonifico dalla Svizzera.

Fontana e il caso camici, con il flop della sanità lombarda si schianta il sogno dell'autonomia

Fontana, dalla finta donazione ai conti all’estero: tutte le contraddizioni sul caso camici

IL VERBALE
È il 18 giugno quando Manuela Crivellaro, presidente della onlus “Il ponte del Sorriso” viene sentita dai pm: «Sapevo che Dini stava cercando tessuto per produrre i camici, perché sua moglie, Raffaella Soffiantini, che avevo contattato per chiederle una donazione di denaro, mi aveva riferito che suo marito stava cercando il tessuto e se conoscevo qualcuno che lo producesse. Questa telefonata - dice Crivellaro - è del 25 marzo». La donna precisa: il 7 aprile: «Ho chiesto a Dini la certificazione perché l’ospedale poteva accettare solo camici certificati. Lui mi ha mandato tramite whastapp la certificazione del solo tessuto e mi ha detto che stava completando tutte le pratiche di certificazione dei camici e che il suo riferimento in Regione era Raffaele Cattaneo». (capo della task force sull’emergenza). Infine la signora aggiunge: «Il 9 aprile ho scritto a Dini che l’ospedale non aveva più camici e lui mi ha risposto ‘domani penso 500’, ma il giorno dopo ce ne fece avere solo 300 e già in quell’occasione mi disse che era in trattativa con la Regione Lombardia». «Sa quando Paul&Shark ha convertito la produzione?», chiedono i pm. «Lui stava cercando il tessuto dall’ultima settimana di marzo. Il 6 aprile - aggiunge la donna - mi ha dato insieme al primo campione di camice anche la certificazione del tessuto. Ai primi di aprile, poi, mi ha dato il primo campione e quindi ai primi di aprile ha convertito la produzione».

 



LA DONAZIONE
«Come anticipato per vie brevi..». Così scrive Dini il 20 maggio nel file con il quale comunica all’allora dg di Aria la sua decisione di trasformare il contratto in donazione «certi che apprezzerete la nostra decisione, vi informiamo che consideriamo conclusa la nostra fornitura»: 25mila camici non arriveranno più. Ma i pm, nel decreto di perquisizione alla Dama sottolineano che tra Dini e e il dg di Aria Bongiovanni «non ci sono state conversazioni precedenti, non risulta dai tabulati e lo stesso indagato lo ha escluso a verbale». Due ore prima, invece, Dini ha tentato di vendere i 25mila camici a 9 euro ciascuno. Il 20 maggio Dini ringrazia. Alle 22,46 dello stesso giorno, orario insolito per la corrispondenza di lavoro, gli risponde anche un’altra dipendente che suggerisce a Dini di ritirare le fatture già emesse per i 50mila camici. Ma la questione non è semplice. Una corrispondenza fittissima tra i dipendenti che si chiedono come sistemare la questione e sulla trasmissione Report, che ha trasmesso alcune domande alla centrale di acquisto della pubblica amministrazione in vista della puntata del 7 giugno sono al centro delle email dei dipendenti. Il 5 giugno arriva però Carmen Schweigl, responsabile della procedura, (indagata) e Bongiovanni ricevono dall’ufficio legale «le obiezioni in ordine alla bozza di determina a firma» del dg «con la quale si era proceduto a recepire la proposta parziale di conversione in donazione e di interruzione della ulteriore fornitura contrattualmente prevista». E così i camici rimangono alla Dama. Ora sono atti sequestrati dai militari del nucleo di polizia valutaria della Finanza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA