Pordenone, Elisa morta di leucemia a 6 anni. La mamma: «La sento vicina ogni giorno»

Pordenone, Elisa morta di leucemia a 6 anni. La mamma: «La sento vicina ogni giorno»
di Nunzia Marciano
Sabato 5 Settembre 2020, 11:59 - Ultimo agg. 13:14
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Sabina ha una voce di quelle che s’immagina il volto, gli occhi, i lineamenti. Parla con un accento che vagamente ti accorgi che non è italiano, parla piano ma quando inizia ad aprire il suo cuore è un fiume in piena. Forse perché negli ultimi anni non ha avuto neppure il tempo di pensare a qualcosa da dire, troppo impegnata a stare vicino alla sua bambina: Sabina Ursuleac è la mamma di Elisa, la piccola di quasi 6 anni malata di una grave forma di leucemia la cui storia ha fatto il giro del mondo, letteralmente. Elisa è venuta a mancare lo scorso aprile dopo due trapianti finiti male. Oggi 5 settembre, Sabina, che vive a Pordenone col suo compagno e papà di Elisa, Fabio, compie 46 anni: gli ultimi 4 li ha passati al capezzale di sua figlia, di cui 3 in una stanza dell’ospedale Bambin Gesù di Roma. E ha deciso per la prima volta di raccontare, per quanto possibile, quei mesi tanto duri e quel dolore ancora così devastante.

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Una madre non dovrebbe sopravvivere ad un figlio. A lei è successo, dopo aver visto soffrire tanto Elisa: come sta adesso?
Non ho una risposta, perché si sta malissimo, non si vive ma si sopravvive a questo dolore. Faccio del mio meglio per riuscire a sentirla vicino con l’illusione di non averla persa. Per quattro anni ho allattato Elisa e non ho ancora perso il latte, e questo è devastante. Io la sento, Elisa, di sera, di notte, il suo profumo, la sua testolina sulla mia spalla. Mi da suoi segnali ogni giorno, in un una coccinella, una farfalla. Io sento rumori e parlo con lei la sento vicino. Vado sempre dalla mia cucciola al cimitero, per portarle i fiori... Questo mi dà la forza.

Si dice che l’istinto materno sappia capire più di qualunque analisi o esame: come ha capito che c’era qualcosa che non andava in Elisa?
Beh, all’inizio tutti mi dicevano che lei stava bene e io ero depressa, perché vedevo qualcosa che non c’era ma io sapevo che non era così. Prima ancora della malattia, ad Elisa è stato diagnosticato un problema del cuore, il cutilungo che regola l’impulso cuore-cervello. E’ asintomatica ma con un rischio di morte improvviso, la cosiddetta morte bianca. Io l’ho scoperto perché lei aveva sincopi già a 3 mesi e piccole crisi epilettiche. Da lì abbiamo scoperto poi che c’era altro. Purtroppo, a distanza di 4 anni, devo dire che all’epoca non avemmo supporto dall’ospedale Civile di Podernone, dove io lavoravo come infermiera e da cui sono tutt’ora in malattia. Poi per fortuna qualcuno ha iniziato a darmi ascolto… Io sono in malattia perché non ho camminato né dormito per 4 anni, ho ora problemi di salute. Dormivo poco, ero sempre sveglia. Avevo il congedo per 2 anni, poi tante amiche e colleghe mi hanno dato le ferie solidali. Colleghi che mi hanno voluto tanto bene, anche nel 2019. Sono stata molto fortunata. Ho avuto il sostegno di tutti, anche di chi inizialmente non mi aveva creduta. Psicologicamente non sono in grado di tornare a fare l’infermiera.

Per anni è stata accanto a sua figlia, “in silenzio”, mentre era il suo compagno, Fabio, a lanciare appelli per sensibilizzare tutti alla tipizzazione con l’obiettivo di trovare un donatore il più compatibile possibile per Elisa e a smuovere davvero il Mondo, con la pagina Facebook Pardini Fabio per Elisa.Che cosa vorrebbe dire adesso che non ha mai detto?
Io non ho avuto nemmeno il tempo di parlare, la mia attenzione era in ogni momento solo su di lei. Solo su Elisa. Non mi dedicavo a nulla altro. Io sono molto fiera di Fabio che mi ha sostenuta e capita. Lui nonostante la sua comunicazione così forte all’esterno, è molto sensibile, Elisa è stata molto male ma aveva capito che non doveva stare male davanti a lui, e lei lo sapeva e mi diceva: “Mamma quello che è successo a noi, teniamolo tra noi, quando sto male io o tu o siamo stanche, non lo diciamo perché papà non ce la fa. Gli uomini non sono così grandi ma noi siamo più forti”, mi diceva, “abbi fiducia in te, in me e noi stesse. Io non ho paura di niente, questa battaglia la vinco io”, mi ripeteva. Elisa aveva solo 5 anni ma era così forte... Come in ogni luogo, purtroppo non tutti avevano la stessa sensibilità ma ci sono state persone che per noi erano diventate di famiglia, come Stefania una volontaria che ci ha fatto conoscere un altro medico volontario, dentista, Enrico Cembran che ci è stato molto vicino in questa crescita personale grazie alla tecnica della visualizzazione della malattia…

Di cosa si tratta?
Beh, dove non potevamo essere fisicamente perché costrette in un a stanza di ospedale, ci arrivavamo con la mente: ci immaginavamo altrove, al mare, con un lenzuolo azzurro e giallo, ed Elisa sentiva il profumo dell’acqua e le onde e la sabbia. Sentiva tutto solo con il pensiero, rivivendo cose che aveva vissuto, per quel poco che lei aveva vissuto. Tanti medici che ci hanno sostenuto, come la dottoressa Raffaella Bloise, di Pavia che è stata la persona che ci ha tanto aiutato prima ancora che sapessi che Elisa avesse la leucemia.

 


Elisa ha subito due trapianti, con tutte le conseguenze e le cure che questo ha comportato: che idea si è fatta del modo in cui è stata curata Elisa?
Non so rispondere a questo: ho tanti medici da ringraziare ma molti medici commettono l’errore di non credere alle mamme, gli dicono di fare la mamma e non il medico ed è sbagliato perché quello che sente una mamma su un figlio non lo potrà mai studiare un medico. Ho incontrato medici che ascoltavano le mamme, e medici no e con questi ultimi è stato tutto molto più difficile.

Qual era il mondo di Elisa in quei lunghi mesi e quale il suo?
Il suo letto. Non scendeva mai da quel letto. Noi facevamo tantissime cose su quel letto. Le piaceva cucinare, e lo faceva su quel letto. Lei si ordinava cose da sola on line. Avevamo tante scatole con giocattoli e vestiti, ma ogni volta che non stava bene era quello che la teneva su, le sue bambole, i suoi regali. Lei stessa era una principessa “Elisa Stefania Pardini, principessa, bambola peluche coccinella Bebe”: era questo il suo nome, quando qualcuno glielo chiedeva... Era speciale. Il suo era un Mondo fatto di positività e voglia di vivere. Era sempre positiva in tutto. Difendeva tutti e tutto. Lei non vedeva cattiveria e malizia, era molto educato ed era così gentile.

È una madre che insegna questo, il merito è anche suo. Qual è il ricordo più forte che ha di Elisa?
La sua positività, ripeto, e questo mi rende difficile accettare la sua morte. Elisa sopportava il dolore con una forza incredibile e noi eravamo convinte che ce l’avrebbe fatta, anche quando i linfociti del donatore hanno attaccato cute e intestino. Una volta l’eccessiva differenza di HLA tra lei e il suo donatore  le ha provocato ustioni di 3/4 grado. Erano ustioni orribili. Brutte complicazioni ma lei non si lamentava, lo accettava perché, diceva che le serviva per guarire. E questo rende la sua morte ancora più devastante.

La storia di sua figlia ha smosso davvero il mondo e ha portato a migliaia di tipizzazioni. Oltre 50.000 nuovi potenziali donatori, che hanno salvato tante persone. Elisa a 5 anni ha fatto più di molti adulti... Questa è la sua eredità?
Elisa è sempre stata molto più grande dei suoi 5 anni, sempre preoccupata per sé e per gli altri, per me, per suo papà e soprattutto per i bambini. Quando li sentiva piangere nelle altre stanze mi diceva: “Mamma vai a vedere. Sei un’infermiera, sei speciale, mi hai curata benissimo, perciò vai tu, vai a parlare con le altre mamme”. E io lo facevo, portavo la mia esperienza. Anche non stavano bene gli altri bambini, lei mi mandava da loro. E io cercavo di prendermene cura, anche solo con una parola di conforto.

Lei è molto credente e lo era anche Elisa…Mi diceva che vedeva Gesù. È sempre stata speciale. Lei ha coinvolto il mondo e grazie a lei tante vite si salveranno. Lei pensava agli altri. E aveva fede, in Gesù e nelle persone. Quando è morta aveva un’immagina della Madonnina in mano. E questo mi ha rincuorata. Come si fa a ricominciare a vivere?
Non si vive. Si sopravvive. Con un grande dolore. Con cui si impara solo a convivere. Con il tempo non starò meglio, anzi. Si impara a sopravvivere e a sentire diversamente la vicinanza. Ci si aggrappa all’anima e non alla presenza fisica.

Elisa ha sofferto tanto. Ora, come si dice in questi casi, ha smesso di soffrire. Forse questo può esserle un po’ di sollievo?
No, perché lei voleva vivere. Ha lottato, e noi eravamo sicurissime che ce l’avrebbe fatta. Noi eravamo sicure di guarire. Lei ha chiesto vita fino alla fine, voleva vivere. Non è meglio perché non soffre più, non è meglio perché lei voleva vivere davvero. Non ho mai avuto questo sollievo perché lei non dava peso a questa sofferenza, lo abbiamo sostenuto assieme come se il cordone ombelicale non si fosse mai staccato, sentivo ciò che sentiva la mia cucciola. Non accetterò mai questo, non è stato un sollievo. Non abbiamo mai accettato il dolore, lei ci passava sopra, si concentrava per sopportare il dolore e non prendere morfina, e non fare peggio. Era una bambina straordinaria. I medici venivano ad imparare da lei.

Come si può la morte per una bambina che aveva tanta voglia di vivere?
Non l’ho mai sentita urlare nemmeno con un dolore tanto lancinante come quello che provava. L’unico giorno che l’ho sentita dire “Ho male al cuore, non riesco a respirare, mamma ho tanto dolore e non è come le altre volte” e ha chiesto aiuto, è stato quando è finita. Era Giovedì Santo 9 aprire verso le 14.30. Per lei il dolore era un passo verso quella guarigione che non è mai arrivata. (La voce di Sabina si interrompe e cede ad un pianto tanto devastante quanto composto, figlio di un dolore che non si potrà mai superare). Lei era tutto. Non avrei mai rinunziato a lei. Era lei che tirava su di morale a tutti noi. Come si può sopravvivere a questo?
 

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