Le vittime di Battisti, il figlio del macellaio ucciso: «Non provo odio, solo gioia per mio padre»

Le vittime di Battisti, il figlio del macellaio ucciso: «Non provo odio, solo gioia per mio padre»
di Angela Pederiva
Lunedì 14 Gennaio 2019, 08:08
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Ha trascorso 14.576 giorni, e altrettante notti, confidando che prima o poi sarebbe accaduto e temendo che non sarebbe avvenuto più. Finché succede davvero, una domenica mattina, quando il negozio di famiglia è chiuso e il telefonino inizia a squillare insolitamente presto: i messaggi degli amici che hanno sentito il giornale radio, le telefonate dei cronisti che chiedono una dichiarazione. Così la notizia della cattura in Bolivia di Cesare Battisti piomba a Caltana, frazione di Santa Maria di Sala, dove il macellaio del paese tuttora vive come quand'era un 17enne che vide morire suo papà Lino sotto i colpi di un commando dei Proletari armati per il comunismo. È allora che Adriano Sabbadin te che quel capitolo può finalmente chiudersi: «Ho aspettato questo momento per 40 anni. Adesso speriamo che sia la volta buona, anche se la strada è ancora lunga. La nostra è una famiglia di ciclisti, per cui siamo abituati a pedalare tanto e fino a che non tagliamo il traguardo, sappiamo che la fatica non è finita».

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LE LACRIME
Nelle sue parole non si sentono «né odio né vendetta, solo gioia per mio padre», ma nei suoi occhi si vede un velo di commozione, quella sì. «Mi ha fatto piangere la mia bambina più piccola. Ha soltanto 8 anni, non ha mai conosciuto il nonno. Quando le ho detto che Battisti era stato arrestato, mi ha risposto: Finalmente, era ora. Non sono riuscito a trattenere le lacrime», confida Adriano con il pudore dietro a cui ha imparato a custodire il dolore e a placare la rabbia. «Quante illusioni svanite nel nulla. La delusione più grande è legata a Lula: con la sua decisione ci spiazzò, perdemmo tutte le speranze, pensammo davvero che non ci fosse più giustizia a questo mondo». L'allora presidente del Brasile rifiutò di concedere l'estradizione, già autorizzata dalla Corte suprema di Brasilia, nell'ultimo giorno del suo mandato, il 31 dicembre 2010.

IL SANGUE
Quella di San Silvestro non è una data qualsiasi per i Sabbadin. Allo scoccare di Capodanno del 1979, giunse una telefonata a casa loro. Era per Lino, che il 16 dicembre 1978 aveva reagito a una rapina nella sua macelleria, ferendo a morte un bandito di Campolongo Maggiore. «Hai ucciso, adesso tu o qualcuno della tua famiglia dovrà pagare», sibilò una voce anonima. Il macellaio venne ammazzato nel pomeriggio del 16 febbraio, lo stesso in cui fu freddato il gioielliere Pierluigi Torregiani, vittime definite «bottegai poliziotti» nel farneticante volantino di rivendicazione con cui i Pac li condannavano per le «forme di violenza antiproletaria» messe in atto contro le presunte rapine del popolo. Per questi e altri due delitti Battisti fu condannato all'ergastolo, anche se si è sempre proclamato innocente. «Se lo fosse ribatte Adriano non sarebbe scappato per 40 anni, invece ha ucciso nostro padre e altre tre persone: è colpevole, stop. Non servono altre indagini, so quello che abbiamo visto io e mia mamma».

«Ringrazio i governi dell'Italia e del Brasile», aggiunge Adriano, «ma soprattutto le forze di polizia che hanno condotto l'operazione. Il vicepremier Salvini vorrebbe ricevere noi familiari a Roma, ma non so cosa faremo, anche con le mie sorelle Adriana e Roberta siamo ancora molto frastornati. Di sicuro le parole che mi hanno fatto più piacere sono quelle del presidente Sergio Mattarella, una persona che ha vissuto il nostro identico dramma: bisogna vivere la stessa esperienza, per capire veramente cosa voglia dire. Per questo a Battisti augurerei di provare quello che abbiamo dovuto subire noi... Il perdono? Questo è un tasto dolente. Bisogna vedere cosa fa Battisti. Per ora no, ma in futuro non lo escludo. Sono cattolico, credente, praticante. Per questo mi dispiace che nessun Papa, né Ratzinger prima né Francesco dopo, abbia mai risposto alla mia richiesta di incontro. Ci terrei tanto, visto che mi sono sempre affidato al Signore in questi 40 anni».
 

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