Bibbiano, attesa di giudizio. «Otto anni senza mio figlio e nessuno me li restituirà»

Il dolore di Monica: fui abusata, per questo dicevano che lo avrei potuto traumatizzare

Bibbiano, attesa di giudizio. «Otto anni senza mio figlio e nessuno me li restituirà»
Bibbiano, attesa di giudizio. «Otto anni senza mio figlio e nessuno me li restituirà»
di Valentina Errante
Mercoledì 10 Novembre 2021, 23:03 - Ultimo agg. 11 Novembre, 15:48
4 Minuti di Lettura

«Carlo aveva due anni e mezzo quando ce lo hanno portato via. Oggi ne ha 10. Io voglio giustizia». La prima sentenza sul “caso Bibbiano” arriverà oggi: il giudice per le indagini preliminari di Reggio Emilia, Dario De Luca, dovrà decidere sulle richieste di condanna con rito abbreviato per lo psicoterapeuta Claudio Foti e l’assistente sociale Beatrice Benati e pronunciarsi sulle richieste di rinvio a giudizio per gli altri 22 imputati, che, a vario titolo, avrebbero simulato abusi sui bambini, togliendoli alle famiglie e gestendo un mercato degli affidi. I dieci piccoli, finiti al centro dello scandalo scoppiato nel giugno del 2019 con l’inchiesta “Angeli e demoni”, sono tornati a casa. Monica (nome di fantasia), invece, sta ancora aspettando. 

Perché il suo bambino non è ancora tornato a casa? 

«Le verifiche stanno andando indietro nel tempo.

I bambini che sono tornati dai genitori erano stati portati via negli ultimi anni, mio figlio invece ci è stato strappato nel luglio del 2013, frequentava l’asilo nido. Un tempo infinito. Non sappiamo dove sia, con chi abbia trascorso tutti questi anni. Per otto anni io e mio marito lo abbiamo potuto vedere solo per un’ora e mezza ogni due mesi in modalità protetta. Significa che gli incontri erano sorvegliati, poi eravamo costretti a lasciarlo, ma lui continua a chiamarci mamma e papà. Gli abbiamo continuato a portare dei regali, cercando di spiegargli che non abbiamo mai smesso di amarlo. La scorsa settimana finalmente il giudice ha firmato un decreto, che ha disposto in via immediata e urgente di aumentare gli incontri, renderli liberi, senza l’osservazione degli assistenti sociali e programmare il ritorno a casa nei fine settimana. Entro il 28 dicembre gli assistenti sociali dovranno presentare una relazione per pianificare il suo riavvicinamento. Poi il giudice dovrà pronunciarsi ancora e decidere. Intanto da settembre, gli incontri sono una volta al mese».

È trascorso tanto tempo?

«Pensi che abbiamo scoperto da una relazione che avevano dichiarato il bambino adottabile. E adesso il giudice avrà tempo per decidere entro il 2022. Come se il tempo fosse soltanto quello che riguarda udienze e processi e la burocrazia non avesse nulla a che vedere con la vita reale delle persone. Mi hanno impedito di vedere crescere mio figlio, di essere mamma, e a lui di avere una mamma e un papà. Io non ho potuto prendere parte a tutte le esperienze importanti nella vita del mio bambino. Ma l’inchiesta su Bibbiano ha scoperchiato un sistema, lo strapotere e gli abusi compiuti da alcuni assistenti sociali. Sono anni che faccio denunce. Ma non è solo Bibbiano. Non ho paura e non intendo fermarmi. Quello che abbiamo subito è mostruoso. Un giudice ha stabilito che, avendo subito abusi dal mio patrigno, avrei potuto trasmettere a mio figlio il trauma. Per questo lo hanno portato via. Spero che il processo si concluda con delle condanne. Voglio giustizia. Il rapporto con nostro figlio è ancora meraviglioso. Ci abbraccia e ci bacia, ha sempre insistito, in ogni occasione di incontro, perché ci fermassimo più a lungo, ancora un minuto in più. A settembre, quando ha saputo che ci saremmo rivisti il mese successivo era felicissimo».

Come gli avete spiegato il fatto che potevate vederlo solo sporadicamente e che andavate via?

«Ormai non diciamo più nulla. All’inizio sono stati gli assistenti sociali, ai quali avevamo chiesto cosa dire se lui avesse insistito per venire via con noi, a darci indicazioni: dobbiamo andare a scuola per diventare dei bravi genitori. Questa era la frase che dovevamo dire e abbiamo detto. Oramai non chiede più. Non l’abbiamo ancora visto da quando il giudice ha firmato il nuovo decreto».

Lei e suo marito avete una situazione stabile?

«Sì, stiamo insieme da dodici anni. Abbiamo una casa e un lavoro. Lui è un corriere e io, per conto di un’azienda, preparo le confezioni di alcuni prodotti. Amiamo nostro figlio più di ogni altra cosa e solo l’idea di riportarlo a casa ci fa andare avanti. Il nostro incubo non è ancora finito e neppure le condanne potranno sollevarci da questo dolore, ma almeno ci daranno una speranza nella giustizia». 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA