«Sono sola dall'altra parte del mondo, lontana dalla mia famiglia e senza la possibilità di tornare a casa». Questa la situazione descritta da Laura Pintore, 27enne ricercatrice italiana bloccata in Nuova Zelanda, «la terra più lontana che ci sia», a causa della sospensione dei collegamenti aerei legata all'emergenza coronavirus.
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La ricercatrice, che si trova a Wellington dal 29 gennaio 2020, denuncia i prezzi «inammissibili» dei biglietti delle compagnie aeree e scarse informazioni da parte dell'ambasciata italiana, il cui comportamento l'ha lasciata «amareggiata». Pintore, che sta svolgendo presso il National Institute of Water and Atmospheric Research (Niwa) una parte delle analisi nell'ambito di un dottorato di ricerca promosso dall'Università degli studi di Torino, sarebbe dovuta restare in Nuova Zelanda fino al 26 aprile 2020, data per la quale ha acquistato il biglietto di ritorno prima di partire dall'Italia. Tuttavia, a seguito dello scoppio della pandemia, la compagnia aerea Emirates, con la quale sarebbe dovuta tornare, ha sospeso i collegamenti dalla Nuova Zelanda per l'Italia per un periodo non definito.
Il 21 Marzo Pintore racconta di essersi recata presso l'ambasciata italiana a Wellington per sapere se fossero state intraprese iniziative per fornire assistenza agli italiani presenti in Nuova Zelanda che si trovassero nella necessità di ritornare in Italia. «Sono stata ricevuta in un pianerottolo e, in maniera tanto garbata, quanto sbrigativa, un gentile funzionario mi ha solo invitato a consultare le Faq presenti sui siti istituzionali del Ministero degli Affari Esteri e dell'Ambasciata - spiega la ricercatrice - Tralascio ogni considerazione sulla delusione mia delusione». Una settimana dopo la ricercatrice riceve un'email dell'ambasciatore italiano in Nuova Zelanda, Fabrizio Marcelli, indirizzata a tutti i connazionali. Pintore evidenzia un passaggio dell'email che l'ha lasciata «amareggiata», quello in cui l'ambasciatore afferma: «Se cessassimo però di avere una prospettiva egocentrica e guardassimo alla situazione del nostro Paese martoriato dal virus, agli sforzi eroici dei nostri operatori sanitari e alla situazione di altri Italiani, bloccati in Paesi meno sviluppati della Nuova Zelanda, valuteremmo la nostra situazione più realisticamente».
«Mi rendo conto che l'Italia sta ora affrontando problemi gravissimi, al confronto dei quali i miei possono apparire irrilevanti, ma mi permetto in questa sede di interpretare le preoccupazioni di altri italiani che stanno vivendo questa esperienza, lontano dai loro cari, e sono meno fortunati di me - conclude la ricercatrice - Nonostante l'infelice esperienza, continuo a confidare nel fatto di essere parte di un grande Paese, che non si dimenticherà di un piccolo numero di concittadini che, in grandissima parte per motivi di lavoro e di ricerca, si trovano ora nella terra più lontana che ci sia».
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