Coronavirus, il dramma dei medici infettati: «Tamponi ai calciatori, a noi no»

Coronavirus, il dramma dei medici infettati: «Tamponi ai calciatori, a noi no»
di Mauro Evangelisti
Martedì 24 Marzo 2020, 08:09 - Ultimo agg. 11:50
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Non siamo riusciti a difendere chi ci doveva difendere. Sono oltre 5.000 gli operatori sanitari contagiati, il 9 per cento dei totali dei positivi. Ci sono medici, infermieri, ma anche il resto del personale degli ospedali, dai tecnici delle radiologie a chi fa le pulizie. Il bilancio si aggrava giorno dopo giorno, ci sono già 24 medici morti come racconta il sito della Federazione nazionale degli Ordini, che pubblica una sorta di antologia di Spoon River dei camici bianchi uccisi dal coronavirus. «Elenco dei Medici caduti nel corso dell'epidemia di Covid-19» è il nome che è stato dato alla pagina del sito.

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ERRORI
Cosa è stato sbagliato? «C'è il termoscanner nelle stazioni e negli aeroporti e non c'è negli ospedali» ha osservato il presidente dell'Ordine dei medici di Forlì, Michele Gaudio. «Fanno i tamponi ai calciatori ma non ai medici e infermieri» è una delle frasi più ricorrenti tra i camici bianchi. Bisognerà riflettere a lungo sulla scelta iniziale di non sottoporre tempestivamente ai test i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che nelle corsie, ma anche negli studi, sono entrati in contatto con pazienti positivi. I tamponi si facevano solo, nella maggior parte dei casi, ai sintomatici. Per non sguarnire i reparti, chi stava bene continuava a lavorare, ma poiché gli asintomatici trasmettono il virus, negli ospedali della Lombardia prima, poi in quelli di altre regioni, si sono prodotti drammatici effetti moltiplicatori del contagio.
 



Sullo sfondo, certo, c'è stato anche qualche comportamento imprudente, qualche viaggio o qualche brindisi di troppo anche tra la classe medica, ma la maggioranza è rimasta contagiata mentre era in prima linea. Disarmata. Uno degli altri gravi problemi è stata la carenza di dispositivi, dalle mascherine alle tute di protezione. Ora si sta correndo ai ripari: quasi tutte le regioni hanno annunciato che si faranno molti più tamponi a medici, infermieri e operatori sanitari; si stanno rifornendo ospedali e studi con mascherine e dispositivi di protezione, ma rischia di essere tardi.
Racconta Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, che parla del Lazio, ma fa un ragionamento che vale per tutto il Paese: «Solo nella Capitale abbiamo 84 medici positivi. Due sono ricoverati in osservazione, gli altri sono in isolamento domiciliare. Per fortuna non sono gravi, ma è evidente che qualcosa non ha funzionato. C'erano poche mascherine, non sono stati eseguiti sufficienti tamponi. Se non si proteggono gli operatori, non si proteggono neppure i cittadini». L'assessore alla Salute della Regione Lazio, Alessio D'Amato, ha confermato: «Stiamo facendo più tamponi a medici, infermieri e operatori. Quando saranno pronti i test rapidi che si stanno sperimentando al Gemelli, sarà ancora più semplice controllare tutti coloro che si trovano nei posti più a rischio». Il capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia, Francesco Lollobrigida, ha chiesto «un immediato cambio di strategia nel Lazio per tutelare chi lavora negli ospedali», ma in realtà la situazione è critica in tutte le regioni. Dei 24 medici deceduti e positivi al coronavirus, venti erano della Lombardia, la regione che ha visto un'avanzata incontrollata del contagio anche e soprattutto negli ospedali. A Napoli quattro specializzandi hanno rifiutato l'assunzione, secondo Silvestro Scotti, presidente dell'Ordine dei Medici locale, anche perché i camici bianchi devono operare «a mani nude o con strumenti inadeguati».

CARENZE
Osserva Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, la fondazione che in questi giorni sta raccogliendo i dati sul personale medico e infermieristico contagiato: «A giudicare dalle innumerevoli narrative e dalla mancata esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, il numero ufficiale fornito dall'Istituto superiore di Sanità è ampiamente sottostimato.
Un mese dopo il caso 1 di Codogno, i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell'impreparazione organizzativa e gestionale all'emergenza. Sollecitiamo l'esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e operatori sanitari, nonché l'integrazione delle linee guida Iss per garantire la massima protezione a chi è impegnato in prima linea contro l'emergenza coronavirus». In Lombardia quindici lavoratori positivi hanno denunciato l'Istituto Palazzolo Fondazione Don Carlo Gnocchi di Milano per avere tenuto «nascosti casi di lavoratori contagiati e impedito l'uso delle mascherine per non spaventare l'utenza». Replica della direzione: «Notizie false e calunniose, fin dal 24 febbraio abbiamo seguito i protocolli dell'Istituto superiore della Sanità, non c'è stata alcuna inadempienza».

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