Coronavirus Puglia, quei genitori infettati dai figli rientrati dal Nord

Coronavirus Puglia, quei genitori infettati dai figli rientrati dal Nord
di Graziella Melina
Sabato 21 Marzo 2020, 08:24 - Ultimo agg. 10:00
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Rientro amaro per i pugliesi che vivono al Nord. Se in passato ad accoglierli in stazione c'era sempre un gruppetto di amici e familiari pronti ad abbracciarli, ora ad attenderli ci sono gli agenti della polizia, pronti a verificare il motivo dello spostamento. Ciascun nuovo arrivato rappresenta infatti un possibile nuovo portatore del coronavirus, e potrebbe contagiare così decine di persone, a cominciare dai propri cari. Al Policlinico di Bari si sono registrati già diversi pazienti positivi che sono risultati parenti di studenti rientrati in questi giorni dalla Lombardia.

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Secondo la Regione Puglia, dal 29 febbraio al 18 marzo in totale sono 22.947 le persone che hanno firmato l'autocertificazione e dovrebbero sottostare alla quarantena di 14 giorni. L'invito del governatore Michele Emiliano a non tornare a casa per non mettere a rischio la salute di altre persone finora è servito a ben poco. E a tremare per i pericoli che ne potrebbero derivare sono soprattutto i medici. «La situazione è in continua evoluzione, per il momento i numeri sono accettabili e possiamo ancora ricoverare in terapia intensiva i contagiati. Ma siamo preoccupati: non abbiamo la possibilità di sostenerne un maggior numero, come al Nord», avverte Giosafatte Pallotta, segretario Anaao Assomed della Puglia e responsabile di nefrologia e dialisi dell'ospedale della Murgia di Altamura, alle prese in questi giorni proprio con un caso positivo tra i suoi pazienti. Secondo il piano ospedaliero della Regione Puglia, i posti di terapia intensiva attivi per il Covid sono in totale 54, quelli attivabili 252, per un totale di 306. «Ma si tratta di una disponibilità di posti sulla carta - rimarca -. Il governatore della Puglia ha fatto un programma che prevede un aumento di circa 150-200 posti in più in terapia intensiva. Ma noi medici non abbiamo dati reali della situazione. Nessuno ci dice quanti di questi posti letto sono quelli davvero attivi in questo momento. Gli altri quando saranno pronti? Tra un mese, 15 giorni?». Senza contare poi che qui per le normali attività mancano più di mille medici specialisti. A Taranto la situazione si fa incandescente. Giancarlo Donnola, aiuto di chirurgia generale dell'ospedale SS.Annunziata, denuncia il rischio di ridimensionamento di alcuni ospedali della provincia: «Dato il numero basso di sanitari, dovuti ad anni di politica sbagliata a livello nazionale, non ci possiamo permettere di chiudere reparti o interi ospedali, quando l'emergenza sembra essere soltanto all'inizio».
 



GLI ESPOSTI
Intanto, fioccano gli esposti agli ispettorati del lavoro e ai Nas, per la mancata consegna dei dispositivi di protezione individuale. Come in Calabria, dove «i sanitari che lavorano nelle terapie intensive e i medici del Suem 118 sono sprovvisti dei dispositivi di protezione individuale, alla cui dotazione non si è proceduto sin dall'inizio della emergenza epidemiologica». Non va meglio in Campania. «In questo momento ci sentiamo carne da macello, lavoriamo senza mascherina con filtro», denuncia Pierino Di Silverio, vice segretario Anaao Campania e chirurgo e igienista del Centro regionale Trapianti della Campania, secondo il quale «andrebbero fatti con urgenza i tamponi al personale sanitario anche per tutelare i trapiantati, i più a rischio». Ma intanto tocca fare i conti con chi a tornare da mamma e papà non vuole proprio rinunciare. «Sono circa 4mila gli studenti rientrati da questo esodo di massa al contrario. E ora - ammette Di Silverio - siamo davvero spaventati per un possibile aumento dei contagi».

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