«Al Trivulzio gli anziani non venivano separati»: così l'istituto è diventato focolaio

«I pazienti non venivano separati» Così l'istituto è diventato focolaio
«I pazienti non venivano separati» Così l'istituto è diventato focolaio
di Claudia Guasco
Mercoledì 15 Aprile 2020, 07:29 - Ultimo agg. 11:06
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MILANO Riannodare il filo che porta alla morte di 148 anziani del Pio Albergo Trivulzio per capire come sia diventata un focolaio Covid-19. «Ormai i decessi sono tre, quattro al giorno, dal primo aprile siamo arrivati a 78», riferisce un'operatrice sanitaria che si occupa del triste resoconto. Chi lavora nella struttura e ha vissuto l'esplosione dell'epidemia da fine febbraio un'idea chiara se l'è fatta ed è confluita nelle decine di denunce arrivate alla procura di Milano.

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«Totale assenza di dispositivi di sicurezza, malati con sintomi di coronavirus in stanza con ospiti sani, incapacità di gestire la situazione. L'ordine di indossare le protezioni ci è arrivato soltanto la sera di Pasquetta. Ma il materiale fornito è del tutto inutile», racconta una dipendente.

GREMBIULE USA E GETTA
La disposizione, riferisce chi l'ha ricevuta, è della Dps, la Direzione delle professioni sanitarie: obbligo per gli operatori socio sanitari di indossare cuffia, camice e soprascarpe. «Peccato che la cuffia sia quella per la dispensa, cioè quella che usiamo per servire il pasto ai pazienti, e come il camice e la protezione per le calzature non è idrorepellente. Un'attrezzatura inadeguata contro il coronavirus», spiega un operatore. Non che prima andasse meglio. «Con la stessa divisa somministravamo i pasti e accudivamo i degenti, entrando e uscendo dai vari reparti. La divisa andrebbe cambiata, rimediavano a ciò facendoci indossare un grembiule di plastica usa e getta leggerissimo, come non avere indosso niente».

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La mancanza di protezione, secondo gli operatori, è stata la prima miccia di innesco del contagio alla Baggina. «Nel carrello delle emergenze c'è sempre un pacco di mascherine. Mi ricorderò sempre l'avvertimento di una caposala: «Quelle mascherine non si toccano, chi apre il pacchetto si prende una denuncia. Così ce le portavamo da casa». Altra falla nel sistema è il tardivo isolamento dei pazienti con sintomi Covid-19. Chat tra colleghi di una settimana fa: «Stamattina è arrivato il responsabile di un reparto segnalando un paziente con febbre e tosse. La comunicazione all'ufficio infermieristico non era avvenuta, il degente non era stato separato dai compagni di stanza». Ad aggravare la situazione, l'ingresso al Trivulzio di pazienti da altri ospedali senza essere sottoposti a tamponi. Altro messaggio chat: «Paziente di 94 anni dall'ospedale di Sesto San Giovanni dopo circa 15 giorni che era da noi iperpiressia dispnea ingravescente fame d'aria ossigenoterapia 18/20 litri al minuto dopo circa sei giorni di aggravamento». Prima che la sua situazione precipitasse, una degente della stanza accanto andava a confortarlo, sfuggendo a ogni tentativo di tenerla lontana: «Ho 85 anni, posso anche morire», diceva. E si è ammalata anche lei.

I BOLLETTINI
Dalla seconda metà di marzo al Pio Albergo Trivulzio le giornate si susseguono concitate e i documenti ufficiali forniscono la mappa del dilagare del virus. Nel bollettino del 22 marzo emergono i primi segni della presenza di Covid-19, sebbene mai si parli di positività accertata da tampone tranne che «ufficiosamente» in un caso di un operatore ricoverato. Nello stesso documento si legge che in Principessa Jolanda, nucleo protetto al primo piano, «sono 15 gli ospiti che presentano sintomatologia febbrile, due in condizioni più critiche», al secondo la sintomatologia febbrile è presente «in 3 ospiti». Al Pio XI nuclei 1-2 i sintomi vengono rilevati in «12 dei 41 ospiti, di cui solo alcuni presentano desaturazione», in questa sezione «un operatore sanitario è ricoverato, notizia ufficiosa di tampone positivo». Al Frisia invece a quella data risultavano «in osservazione clinica 66 tra pazienti e ospiti con sintomatologia respiratoria e/o iperpiressia».

Un altro paziente sotto osservazione per desaturazione si trovava invece nel reparto Schiaffinati 5. Ancora, al San Carlo, «tre pazienti segnalati, che presentano iperpiressia e sintomatologia da infezione delle vie respiratorie». Sant'Andrea: «Quattro pazienti con infezione delle basse vie respiratorie, attualmente in osservazione». Ronzoni: «Tre pazienti in isolamento per sintomatologia febbrile e respiratoria acuta». Pringe: «In osservazione per sintomatologia febbrile 3 dei 20 pazienti giunti da setting ospedaliero tramite percorso no-Covid, uno di questi in condizioni particolarmente critiche».

FENOMENO PIÙ AMPIO
Dalle denunce di pazienti e operatori tuttavia il contagio reale avrebbe proporzioni ben più ampie. Complice anche il fatto che, sostengono, mancano alcune radiografie e il dipartimento socio sanitario ha incaricato alcuni medici di ritirare le carte mediche di chi è morto dal primo febbraio al 7 aprile. Replica un dottore: «Ogni radiografia è recuperabile in radiologia. Sono stato tra i medici incaricati di ritirarle dai reparti dalla direzione, è stato fatto proprio per sicurezza».

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