Covid, truffa dei tamponi: tra i finti “negativi” spunta chi ha il virus

Covid, truffa dei tamponi: tra i finti “negativi” spunta chi ha il virus
Covid, truffa dei tamponi: tra i finti “negativi” spunta chi ha il virus
di Stefano Pettinari
Mercoledì 7 Ottobre 2020, 00:17 - Ultimo agg. 12:54
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Spunta il primo positivo nell’indagine sui falsi tamponi, ma potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Gli inquirenti coordinati dalla pubblico ministero Allegra Migliorini, avrebbero individuato una prima persona che si era sottoposta al test per il Covid 19 dal cinquantenne campano che si spacciava per medico e che gli aveva poi consegnato il falso referto che attestava la sua negatività al coronavirus. Quando poi ha effettuato quello vero, ha scoperto invece di essere positiva. Il problema è che questa persona potrebbe essere la prima di una lunga serie, con le conseguenze che sono facilmente immaginabili, ovvero il rischio di aver contagiato tutta un’altra serie di persone con cui ha avuto contatti, credendo di non essere stata colpita dal virus della Sars-Cov-2.

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L’indagine che si sta sviluppando tra Civitavecchia e Roma e condotta dai carabinieri della stazione principale della città portuale, adesso è mirata soprattutto a questo aspetto, ovvero capire dove e quante persone sono state sottoposte al tampone da parte del finto medico. Uno dei luoghi su cui i militari dell’Arma starebbero concentrando le attenzioni, è la Rsa dove Domenico D. lavora. L’uomo infatti risulta essere un operatore socio sanitario di una residenza sanitaria assistita ad Anguillara Sabazia.

I DUBBI
C’è il sospetto da parte degli inquirenti che il cinquantenne possa aver eseguito dei falsi tamponi anche lì. Non solo, c’è un altro aspetto che inquieta. Il falso medico potrebbe aver utilizzato più volte lo stesso stick su più persone. Se così fosse, la cosa sarebbe di una pericolosità inaudita, perché magari quello stesso tampone potrebbe essere stato prima utilizzato su una persona positiva, poi su una negativa. Questo significherebbe che la seconda persona sarebbe stata sicuramente contagiata. Ma al momento questa è solo un’ipotesi ancora al vaglio degli investigatori e tutta da verificare. Gli stick, tra l’altro, sono stati trovati in casa sua. Più precisamente in casa della sua compagna, con cui divideva l’appartamento, a poche centinaia di metri dall’ospedale San Paolo di Civitavecchia.

Anche la sua donna, infermiera al reparto di ortopedia del nosocomio della città portuale, è indagata. Secondo l’ipotesi della magistratura inquirente, era lei che forniva quegli stick al suo compagno, prelevandoli dal suo luogo di lavoro. L’infermiera però nega tutto. «Non ho rubato nessun tampone dall’ospedale – avrebbe detto – io con questa storia non c’entro proprio nulla». Sta di fatto però che quando quel materiale è stato fatto visionare dai carabinieri al personale della Asl, questi avrebbero confermato che invece quei flaconi, ed anche altro materiale farmaceutico trovato nella sua abitazione, era riconducibile a quello in dotazione all’ospedale civitavecchiese.

Un ruolo fondamentale per il ritrovamento dei test lo ha avuto la dottoressa Simona Ursino, direttore dell’unità di malattie infettive della Asl Rm4. È lei infatti che ha ricevuto il primo falso referto che ha dato il via all’intera indagine. La dottoressa ha subito intuito che qualcosa non quadrava. È riuscita a risalire al falso medico. Lo ha contattato per chiedere chiarimenti, dandogli appuntamento per il giorno successivo e nello stesso tempo ha avvertito i carabinieri. Quando il cinquantenne è andato al colloquio con la dottoressa Ursino, era presente anche una finta infermiera, che in realtà era un carabiniere.

Quando l’uomo ha raccontato cosa stava facendo, l’infermiera-carabiniere è intervenuta e subito dopo è scattata la perquisizione in casa sua e della compagna e sono venuti fuori i tamponi e tutto il resto.
Altro aspetto importante che emerge dall’inchiesta della procura, è che sono stati effettuati anche degli accertamenti tecnici irripetibili. La pm Migliorini ha infatti disposto lo screening dettagliato dei telefoni cellulari in dotazione sia all’operatore socio sanitario che all’infermiera, oltre che dei loro computer personali. Passaggio di cui è stato informato anche il legale difensore della coppia, l’avvocato Matteo Mormino. Su cosa sia stato trovato in quei tabulati e nell’hard disk dei pc però, c’è il più stretto riserbo.
 

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