Coronavirus a Napoli: «Odissea tamponi, io positivo dopo 15 giorni tra dolori e febbre alta»

Coronavirus a Napoli: «Odissea tamponi, io positivo dopo 15 giorni tra dolori e febbre alta»
di Melina Chiapparino
Giovedì 16 Aprile 2020, 23:05 - Ultimo agg. 17 Aprile, 10:31
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La notizia della positività al coronavirus, è stata quasi una liberazione. Per Luigi Cerciello, 27enne di Somma Vesuviana, l’incubo non è ancora finito, ma aver accertato il Covid-19, dopo due settimane di dolori, febbre alta e tamponi negativi, gli ha consentito finalmente di avere accesso alle cure necessarie. Tra pochi giorni sarà trascorso un mese dal primo ricovero ma la lotta contro il virus non è finita.

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Luigi, la sua storia è anomala. Lei non risultava positivo al Covid?
«Esatto. I primi tre tamponi a cui sono stato sottoposto, hanno dato tutti esito negativo. È accaduto più di 20 giorni fa, quando ho cominciato ad accusare febbre, dolori e una sensazione di bruciore ai polmoni. Il medico di base mi ha sottoposto a terapia antibiotica, e alle procedure dei tamponi, ma le mie condizioni si sono aggravate sempre di più fino a quando sono stato soccorso dal 118 e ricoverato all’ospedale di Nola. In quel presidio non avevano un reparto Covid e, in ogni caso, la mia negatività non richiedeva una struttura specializzata. Nonostante questo, i sanitari mi hanno isolato e sottoposto ad altri tamponi».

Che esito hanno dato i nuovi test?
«Il primo tampone ospedaliero ha dato nuovamente esito negativo. Nel frattempo, però, la mia sintomatologia peggiorava giorno dopo giorno, con febbre alta, dolori in tutto il corpo e perfino crisi respiratorie che hanno reso necessaria la ventilazione assistita. Finalmente, il secondo tampone effettuato in ospedale a Nola, ha accertato la mia positività e, di conseguenza, ha permesso il mio trasferimento all’ospedale civile di Maddaloni, nel reparto Covid. Ho eseguito 5 tamponi rinofaringei per scoprire che ero stato contagiato».

Lei è ancora in ospedale a Maddaloni, come va ora?
«Sono quasi 25 giorni di vita ospedaliera, a cominciare dal primo ricovero di 8 giorni a Nola, e solo ora comincio a respirare senza troppa fatica. Da 48 ore, mi hanno tolto l’ossigeno e sono diventato più autonomo, ma ho sofferto molto, sia fisicamente che psicologicamente. Ricordo le tante flebo e le iniezioni del farmaco per l’artrite reumatoide, ma devo dire che i sanitari sono eccezionali: mi ha colpito vedere soffrire anche loro per noi. Le settimane più dolorose sono state quando non riuscivo a respirare da solo, avevo anche le allucinazioni. No, non ho mai sofferto di alcuna patologia».

Lei non è l’unico caso positivo in famiglia. Può raccontarci come stanno gli altri?
«Sono molto preoccupato per mio padre che è ricoverato all’ospedale Cardarelli: è intubato. Anche lui sta lottando contro il coronavirus e il mio pensiero è costantemente rivolto a lui. Lo abbiamo portato in ospedale, dopo alcuni giorni a casa durante i quali non scendeva mai la febbre: è stata l’ultima volta che l’ho visto. Mia madre e mia sorella, per fortuna, pur risultando positive sono asintomatiche e con loro, riesco a parlare ogni giorno. Una cosa è certa: ci siamo praticamente barricati in casa e facevamo molta attenzione, solo mio padre ha proseguito a lavorare perché il suo reparto, alla Fiat di Pomigliano, è stato fra gli ultimi a chiudere ma utilizzavano le protezioni».

Ha paura? 
«Ho avuto realmente paura di morire un paio di volte, durante le crisi respiratorie.

Adesso sono più sereno ma preoccupato per papà. Vorrei gridare a tutti di stare attenti, e di rispettare le regole, anche i giovani, perché nessuno è immune da questo incubo con il quale sto ancora lottando. Per il resto, mi manca la mia vita e i miei cani. Sono un volontario dell’associazione “Adv - Diamo una Zampa” e la mia passione è aiutare gli animali, perciò quando tutto sarà finito continuerò a impegnarmi per realizzare il mio sogno: lavorare con gli animali e continuare a salvarli dalla strada». 

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