Ultrà morto, la doppia vita di Dede, il padre di famiglia che andava alla partita per assaltare la polizia

Ultrà morto, la doppia vita di Dede, il padre di famiglia che andava alla partita per assaltare la polizia
di Mauro Evangelisti
Venerdì 28 Dicembre 2018, 08:38 - Ultimo agg. 29 Dicembre, 09:27
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Ci sono due foto per raccontare la morte di Daniele Belardinelli, detto Dede, 35 anni, due figli avuti quando era giovane, sposato, la casa a Morazzone, a pochi chilometri da Varese, il lavoro da piastrellista nel Canton Ticino, una biografia che se si fermasse qui sembrerebbe ordinaria: la prima immagine è quella di una roncola, trovata nei giardini di via Zoia, vicino al Meazza, dopo gli scontri tra le due fazioni; la seconda è quella in cui Belardinelli, insieme a due compagni di squadra, posa per il fotografo quasi timido con la medaglia al collo vinta per nello sport della «scherma corta»: era stato il migliore in tre gare in provincia di Cremona nelle discipline di coltello, giacca e coltello e capraia.

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Sia chiaro: non significa che la roncola ritrovata appartenesse a Belardinelli che in questa storia è pur sempre la vittima, travolto da un suv. In fondo, però, l'accostamento tra i segni della violenza rimasti vicino a San Siro e la passione per le arti marziali e di combattimento, spiega come avesse provato a incanalare le sue energie in qualcosa di differente dalle liturgie, spesso fuorilegge, delle frange estreme ultrà. Quelle che gli erano già costate due Daspo. Il padre Vincenzo: «Era un bravo ragazzo, dedito alla famiglia, gli piaceva sfogarsi negli stadi. Era un casinista, non un violento, magari è stato un incidente». La moglie: «Era un bravo padre, lavoratore, non ha mai fatto male a nessuno, stava andando allo stadio con gli amici». Sostenitore del Varese, simpatizzante dell'Inter, agli scontri con i napoletani era andato perché le due tifoserie sono gemellate.

PERCORSO
Il Varese, dopo un passato in A e in B, vari fallimenti e rifondazioni, oggi milita in Eccellenza, ma il gruppo organizzato della tifoseria è tra i più temuti e a destra dell'estrema destra. Si chiamano BH 98, che significa Blood Honour fondati nel 1998; su Facebook rivendicano anche azioni meritevoli come la raccolta di aiuti per i terremotati, ma la storia è turbolenta. Belardinelli era il leader con la runa (simbologia di estrema destra) tatuata nella caviglia sinistra, con un'eredità pesante, visti i percorsi dei capi che lo avevano preceduto: Saverio Tibaldi era stato accoltellato e ucciso nel 2003 a Torremolinos dove era latitante, Filadelfio Vasi era finito in carcere per alcune rapine. Dei Blood Honour di Varese, della loro simbologia che non nasconde l'appartenenza alla rete internazionale nazi fascista, le cronache si occuparono anche nel 2005 quando un barista, considerato uno del gruppo, fu accoltellato da due albanesi. Successivamente due ultrà furono denunciati perché, per vendetta, avevano aggredito un altro albanese. Ecco, questa storia ha portato Belardinelli, la sera di Santo Stefano, vicino a San Siro, in quello che secondo gli investigatori era un agguato alla tifoseria nemica del Napoli. Insieme agli ultrà interisti, c'erano quelli del Nizza e, appunto, i varesini. Belardinelli aveva ricevuto il primo Daspo a 26 anni, perché fu protagonista degli scontri con la polizia dopo una partita del Varese nell'allora C2. Replica, cinque anni dopo: altro Daspo, perché partecipò ai tafferugli seguiti all'amichevole Como-Inter (la rivalità tra comaschi e varesini è molto accesa). Eppure, gli amici di Belardinelli, tra Morazzone e Varese, invitano a non ricordarlo solo con gli stereotipi dell'hooligan violento; chi era con lui nella Fight Accademy (la società con cui ha vinto le medaglie e partecipato anche a delle gare in Russia) parla di un atleta leale che non ha mai commesso una scorrettezza. Un compagno di squadra: «Era serio durante le competizioni e sorridente nella vita».
 

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