Funivia Mottarone, il giudice contro il pm: «Un errore arrestarli». Smontata l’ipotesi fuga

Funivia Mottarone, il giudice contro il pm: «Un errore arrestarli». Smontata l’ipotesi fuga
Funivia Mottarone, il giudice contro il pm: «Un errore arrestarli». Smontata l’ipotesi fuga
di Claudia Guasco
Lunedì 31 Maggio 2021, 00:24 - Ultimo agg. 1 Giugno, 09:48
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dal nostro inviato
VERBANIA Convocati nella caserma dei carabinieri di Stresa mercoledì notte, portati in cella mercoledì all’alba. Nemmeno 96 ore dopo, su decisione del gip Donatella Banci Buonamici, il gestore unico della funivia del Mottarone Luigi Nerini e i responsabili dell’impianto Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio escono dal carcere. «Il fermo è stato eseguito al di fuori dei casi previsti dalla legge e non può essere convalidato», si legge nell’ordinanza. «Abbiamo ritenuto fosse necessario preservare il quadro indiziario e quindi evitare che ci potessero essere inquinamenti probatori, o accordi sulle versioni da rendere», replica la procuratrice Olimipia Bossi.

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«SPREGIO DELLA VITA»

Da una parte le richieste dei pm, dall’altra un giudice che smonta, almeno per un pezzo, l’impianto accusatorio.

Due indagati su tre, Nerini e Perocchio, tornano in libertà, per Tadini che ha ammesso di aver disattivato i freni di emergenza con i forchettoni vengono disposti i domiciliari. La sua «condotta scellerata, della quale aveva piena consapevolezza, posta in essere in totale spregio della vita umana e con una leggerezza sconcertante, induce a ritenere che non abbia la capacità di comprendere la gravità delle proprie condotte e le reiteri». Ma basta questa misura, secondo il gip, per evitare l’inquinamento delle prove. Il giudice, insomma, si dissocia da una buona parte delle prime conclusioni dei pubblici ministeri. «Palese è, al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare, la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni», scrive nell’ordinanza. Nel provvedimento si sottolinea lo «scarno quadro indiziario» ancora «più indebolito» dagli interrogatori di sabato. Diversi allarmi dei pm non sono stati accolti, a cominciare dal timore del pericolo di fuga dei tre indagati ritenuto «suggestivo» perché non basta che vi sia «clamore mediatico» per dimostrare che qualcuno di loro volesse scappare. Inoltre «non convince» l’idea che i vertici dell’azienda di gestione non volessero fermare l’impianto, da poco riaperto, per ragioni economiche: «La stagione turistica - scrive il giudice - non è ancora iniziata» e almeno fino a giugno, con l’allentamento delle restrizioni anti Covid e la chiusura delle scuole, non sono prevedibili i grandi afflussi di turisti degli anni scorsi.

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Ma il punto cruciale è la correità: Tadini sostiene che anche Nerini e Perocchio fossero al corrente delle ganasce, gestore e capo operativo assicurano di non essere mai stati avvisati. «Tadini sapeva di aver provocato la morte di quattordici persone; sapeva che sarebbe stato chiamato a rispondere, soprattutto in termini civili, del disastro. E allora perché non condividere questo immane peso, anche economico, con le uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni?», rileva l’ordinanza. Tadini «sapeva benissimo che chiamando in correità i soggetti forti del gruppo il suo profilo di responsabilità, se non escluso, sarebbe stato attenuato. Allora perché non farlo?». Il gip smonta la tesi dei pm anche sul fronte delle motivazioni che avrebbero indotto Perocchio e Nerini a premere su Tadini per disattivare il sistema frenante. Perocchio è dipendente della Leitner, che percepisce annualmente da Ferrovie del Mottarone 127 mila euro all’anno per la manutenzione. «Che interesse avrebbe avuto la Leitner a mantenere in cattive condizioni l’impianto di Stresa? La società e Perocchio avevano tutto da perdere in termini di professionalità e reputazione dal malfunzionamento», riflette il gip. 

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FALSE DICHIARAZIONI

Quanto alle casse della società di Nerini, «sarebbe stato questo il momento per sospendere qualche giorno, magari durante la settimana, il servizio per risolvere definitivamente il problema ai freni. Ciò non avrebbe comportato un rilevante danno economico in termini di perdita di entrate». In ogni caso, Tadini ha dichiarato il falso quando ha sostenuto di non avere i poteri per interrompere il funzionamento della funivia: il comma 4 del decreto 8 febbraio 2011 prevede infatti che il direttore dell’esercizio disponga tempestivamente la sospensione della linea quando, per motivi di urgenza, non vi abbia già provveduto il capo servizio». Una normativa che Tadini non poteva ignorare lavorando nel settore da 36 anni.
 

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