Messina Denaro è in gravi condizioni, l'avvocato: «Non so se lo stanno curando bene, non ho visto sedie per la chemio»

A parlare, per la prima volta con RaiNews24, è l'avvocatessa Lorenza Guttadauro, legale di fiducia oltre che nipote del boss

Messina Denaro, il legale: «È in gravi condizioni. Non so se lo stanno curando bene, non ho visto sedie per la chemio»
Messina Denaro, il legale: «È in gravi condizioni. Non so se lo stanno curando bene, non ho visto sedie per la chemio»
Mercoledì 15 Febbraio 2023, 14:21 - Ultimo agg. 16 Febbraio, 13:05
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Messina Denaro è malato, è le sue condizioni «sono molto gravi». A parlare, per la prima volta con RaiNews24, è l'avvocatessa Lorenza Guttadauro, legale di fiducia oltre che nipote del boss, a proposito del primo interrogatorio avvenuto nel carcere de L'Aquila due giorni fa, il 13 febbraio, tra il capo mafioso da lei assistito e il procuratore Maurizio De Lucia e l'aggiunto Paolo Guido che avevano trovato il detenuto «lucido, sereno e con tutte le cure necessarie». «Non credo che la cella possa essere paragonata ad un ambulatorio medico. Non so se lo stanno curando bene», ha aggiunto il legale.

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La replica dei medici: «Condizioni sono buone»

«Le condizioni generali del paziente sono buone». È quanto emerge da fonti sanitarie e carcerarie sullo stato di salute del boss mafioso. Affetto da un tumore al colon, sta combattendo contro il male sostenendo le sedute di chemioterapia in un ambulatorio ad hoc ricavato di fronte alla cella.

Replicando ha quanto detto dall'avvocato Guttadauro, le stesse fonti sottolineano che quanto riportato dal legale «non corrisponde al quadro clinico».

«Il paziente viene seguito con puntualità e sta facendo terapie neoplastiche ambulatoriali che sono compatibili con la sua malattia. Se fosse servito il ricovero, avrebbe fatto cure in ospedale» spiegano ancora fonti sanitarie che non nascondono una certa irritazione. Secondo quanto si è appreso, in seguito alla seconda chemio, somministrata il 6 febbraio scorso, il 60enne non ha avuto problemi legati agli effetti collaterali. Intanto, lo staff di oncologi guidato dal primario dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila, Luciano Mutti, è pronto ad assolvere il compito assegnato nel rispetto del piano terapeutico già predisposto.

L'interrogatorio

I due magistrati erano arrivati intorno alle 14.30 nel carcere dove Denaro è detenuto e curato nella stessa saletta dove si è svolto il colloquio. E sono andati via dopo circa tre ore. Ma gran parte del tempo è stato impiegato per la preparazione del confronto. Pare che le risposte del padrino non abbiano dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell'inchiesta. Tanto è vero che tutto si è risolto in poco tempo e il verbale non è stato neppure secretato. Se ne deduce che non contenga colpi di scena né elementi decisivi. Ma non per questo il velo del riserbo da parte dei magistrati si è allargato. Se per la forma questo era il vero interrogatorio del boss dopo 30 anni di latitanza va ricordato che Messina Denaro aveva già visto per pochi minuti i magistrati subito dopo l'arresto. Il tempo necessario perché De Lucia potesse dirgli che era «nelle mani dello Stato» e che «riceverà piena assistenza medica». Cosa che si sta realmente facendo nel carcere aquilano di massima sicurezza. 

 

I sospetti

Anche se non ci sono indiscrezioni sul contenuto del colloquio, è facile ritenere che le domande dei magistrati abbiano cercato di approfondire il tema delle protezioni, con particolare attenzione alla rete di complicità che l'inchiesta sta giorno dopo giorno rivelando. Uno dei punti da chiarire è il ruolo del medico Alfonso Tumbarello il quale ha curato e assistito, con 137 prescrizioni, il boss che andava in giro con l'identità del geometra Andrea Bonafede. Tumbarello, affiliato a una loggia massonica di Campobello di Mazara dalla quale è stato sospeso, sostiene di non avere mai avuto sospetti sull'uso di un nome di comodo. Ma gli investigatori hanno messo sempre in discussione la credibilità del medico, che per questo è stato arrestato.

Il covo

Un altro focus dell'inchiesta prende di mira il covo di Campobello di Mazara, messo a disposizione da Bonafede, dove sono state trovate molte tracce della vita clandestina, ma vissuta alla luce del sole, dell'uomo più ricercato d'Italia. Oltre a indumenti femminili, appartenuti a donne con cui Messina Denaro si incontrava, sono stati ritrovati documenti e «pizzini»: uno era in una busta indirizzato alla figlia, ma mai giunto alla destinataria. Non è da questi elementi che sarà possibile ricomporre la rete di relazioni che hanno assicurato al boss la lunga latitanza. Ma servono a delineare un quadro di scambi e di contatti, un terreno nel quale Messina Denaro non sembra disposto a portare i magistrati e gli investigatori. Qualche traccia può dare invece il senso e la natura di alcune relazioni. Indicativa la dedica stampigliata nel portachiavi che il boss portava in tasca nel giorno dell'arresto. La persona che glielo aveva regalato aveva fatto incidere la frase: «L'uomo, il mito, la leggenda sei tu».

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