Premio Messaggero per i giovani Il preside del Tasso: «La scrittura è un’arma contro l’emarginazione»

Premio Messaggero per i giovani Il preside del Tasso: «La scrittura è un’arma contro l’emarginazione»
di Francesco Pacifico
Venerdì 29 Gennaio 2021, 07:53 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 16:27
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Paolo Pedullà racconta che quando insegnava lettere al biennio, leggeva «sempre in classe la novella di Rosso Malpelo, escluso ed emarginato dalla società del tempo, o le storie degli eroi tragici greci che pagavano la solitudine e l'isolamento. E notavo che i miei ragazzi mi seguivano sempre con attenzione. Sembrava che si rispecchiassero in quei personaggi. E dopo era più facile che si aprissero e raccontassero i loro disagi». Un'esperienza che gli è servita ora che è preside del liceo Tasso e che è ancora più in prima linea contro il bullismo. «Quando ho saputo del concorso letterario del Messaggero in onore di Willy Monteiro Duarte ed Emanuele Morganti, non solo ho diffuso la notizia tra i ragazzi, ma mi sono speso perché i miei studenti partecipassero».
Casi di bullismo come quelli di Emanuele e Willy che cosa scatenano nei ragazzi?
«Non certo emulazione. Scatta l'indignazione, che li unisce e li spinge a raccontarsi. Poi arriva la scrittura, una molla per esternare quello che per paura o pudore si fatica a cacciare fuori».
Quanto è importante la scrittura per i più giovani?
«È uno strumento attraverso il quale i ragazzi si possono esprimere liberamente e raccontare se stessi agli altri. E lo fanno con la sana illusione, anche quando redigono un tema, che altri non leggeranno quanto scritto e che i loro sentimenti resteranno blindati. È come mettere un messaggio dentro una bottiglia e lanciarlo nel mare: vuoi che qualcuno raccolga i tuoi pensieri, in alcuni casi è una richiesta di aiuto, ma il non sapere chi lo farà, ti rende più sereno».
Quanto è diffuso il bullismo?
«Parliamo di un fenomeno complesso, che si attiva attraverso meccanismi che spesso esulano dalla violenza e non sfociano nel penale. Più difficili da scoprire. Parlo del ragazzo non invitato alla festa o a uscire oppure escluso dal gruppo WhatsApp della classe. A quel punto non resta che intervenire sulle dinamiche di gruppo».
La prendete larga?
«Dobbiamo. Non possiamo noi adulti chiedere conto direttamente di certi comportamenti. Perché i ragazzi si chiudono a riccio. E per certi aspetti un palese intervento dell'insegnante a favore di chi si sente escluso, finisce soltanto per acuire certe situazioni. Così ci muoviamo per gradi: intanto ci affidiamo ai professori, che hanno una capacità di introspezione superiore a quello che si possa credere».
Ci fa qualche esempio?
«Non sapete quanto è utile discutere in classe di personaggi storici o letterari che abbiano patito l'esclusione e l'isolamento. Così si ricorda ai ragazzi che la personalità dell'uomo è molteplice, che è sbagliato tranciare giudizi, che nelle persone c'è sempre del bene oppure quanto l'esclusione possa far soffrire. Le riflessioni che scaturiscono sono una cartina di tornasole per capire che cosa non va».
Altri strumenti?
«Negli anni scorsi avevamo uno sportello psicologico che con la Dad non abbiamo più potuto tenere. Ma quando una classe me lo chiede, c'è un terapista che li aiuta in gruppo a gestire e a superare le problematiche. Oppure abbiamo lanciato un sistema di tutoraggio dove i ragazzi più grandi adottano quelli del ginnasio e li aiutano a integrarsi».
Ci racconta la sua esperienza?
«Credetemi, nella mia carriera non mi sono mai imbattuto in casi di bullismo con forme di violenza. Ma ho dovuto affrontare storie di ragazzi isolati e di altri che con fatica hanno ammesso di aver sbagliato verso un compagno. In quest'ottica, non resta che lavorare in maniera preventiva, con gli insegnanti che promuovono la coesione: organizzano lavori di gruppo, fanno ruotare i compagni di banco. E non vorrei dimenticare le lezioni che teniamo sul cyberbullismo abbiamo anche un referente con le forze dell'ordine o la polizia postale».
Tornando alla scrittura, che cosa legge nei temi dei ragazzi?
«In generale incertezza. Sul futuro quanto sul presente. A maggior ragione con tutte le restrizioni del Covid. Poi c'è la curiosità verso un mondo che si vuole conosce velocemente. Ma non mancano quelli che usano i temi per esprimere rabbia, insofferenza, isolamento, una visione nera dell'esistenza. E per noi sono campanelli d'allarme».

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