Saman denunciò il padre: «Piuttosto torno in comunità, ma non in Pakistan»

Saman denunciò il padre: «Piuttosto torno in comunità, ma non in Pakistan»
Saman denunciò il padre: «Piuttosto torno in comunità, ma non in Pakistan»
Sabato 28 Agosto 2021, 14:00 - Ultimo agg. 18:20
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«Sono disposta a tornare in comunità, non in Pakistan». Sono le ultime parole di Saman Abbas agli inquirenti, il 22 aprile, pochi giorni prima di sparire. Così la diciottenne rispose ai carabinieri quando, alla fine di un'audizione, le chiesero se aveva altro da aggiungere a quello che aveva appena finito di denunciare. E cioè che il padre stava trattenendo indebitamente i suoi documenti, che la famiglia del suo fidanzato, connazionale, aveva ricevuto minacce in patria e che i suoi genitori persistevano nel proposito di farla sposare, contro la sua volontà, a un cugino, anche in questo caso in Pakistan.

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Della 18enne si è persa ogni traccia dalla notte tra il 30 aprile e il primo maggio quando si ritiene che sia stata uccisa dallo zio Danish Hasnain, con la collaborazione dei cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, d'intesa con i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen.

Tutti sono latitanti, eccetto Ijaz che è stato arrestato in Francia il 21 maggio. Proprio dall'ordinanza del tribunale del Riesame, che ha respinto al suo ricorso contro la custodia in carcere, emergono nuovi dettagli sulla vicenda. Quando venne sentita Saman era tornata a casa da pochi giorni, dall'11 aprile, dalla comunità dove era stata collocata da minorenne. Aveva deciso di allontanarsi perché si sentiva ristretta e voleva la propria libertà. «Io sono rientrata in casa - disse la ragazza - in quanto volevo entrare in possesso dei miei documenti». «Al mio arrivo a casa i miei genitori non mi hanno picchiata, ma si sono arrabbiati rimproverandomi di tutto quello che avevo fatto nei mesi scorsi come scappare in Belgio e andare in comunità. Per quanto riguarda i miei documenti, io li ho visti nell'armadio di mio padre, chiusi a chiave».

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Saman riferì anche che il 26 gennaio suo padre, Shabbar, era andato in Pakistan dalla famiglia del suo fidanzato, occasione in cui aveva parlato col fratello di lui dicendogli che se non avesse lasciato Saman lo avrebbe ucciso, insieme a tutta la famiglia. In quella visita il padre e uno zio erano accompagnati da altre persone, armate di pistola, che spararono in aria. In una delle telefonate tra i due giovani, Saman mise in guardia il fidanzato proprio sulla pericolosità del padre, che sarebbe collegato alla mafia pakistana e responsabile dell'uccisione di persone, in Italia e in Pakistan. «Ho molta paura, è una persona pericolosa», disse il giovane, a sua volta ascoltato dagli investigatori.

 

Il fratello minorenne di Saman, invece, considerato un testimone chiave, sentito in incidente probatorio il 18 giugno aveva negato la responsabilità dei genitori, sostenendo che ideazione ed esecuzione dell'omicidio della sorella fossero da attribuire allo zio Danish, a sua volta fortemente spinto da altri due cugini, non quelli già indagati per il delitto: «Mio papà e mamma no. Non hanno mai pensato di fare questa cosa, di uccidere», ha detto il ragazzino in italiano stentato. «E poi ci sono altri due cugini, no?» che «hanno forzato tantissimo a mio zio che scappa ancora, fa queste cose, eh... bisogna uccidere, no?». Non risulta che i due siano tra gli indagati, che restano cinque.

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