Sanità, la crisi delle cure: 12 regioni su 20 non garantiscono i livelli essenziali

L’appello di 75 società scientifiche: “Mancano 100mila posti letto, serve una grande riforma strutturale del Sistema sanitario nazionale”

Sanità, la crisi delle cure: 12 regioni su 20 non garantiscono i livelli essenziali
di Graziella Melina
Venerdì 19 Aprile 2024, 07:08
3 Minuti di Lettura

Per salvare il servizio sanitario nazionale bisogna intervenire subito con una riforma strutturale. Le risorse stanziate finora infatti non bastano. Le Regioni sono in difficoltà. E le cure non sono accessibili ovunque allo stesso modo per tutti. Ecco perché le 75 Società Scientifiche riunite in FoSSc (Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani) ieri a Roma hanno lanciato un appello al governo a potenziare gli ospedali e a destinare altre risorse prima che sia troppo tardi. Dopo anni di «tagli irresponsabili» alla sanità serve ora un vero cambio di rotta: nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale si attesta solo al 6,4% rispetto al Pil, e si stima un’ulteriore diminuzione al 6,3% nel 2025 e 2026, fino a scendere al 6,2% nel 2027. E il confronto con gli altri Paesi europei non è confortante: «Dal 2012 al 2021 - precisa Francesco Cognetti, coordinatore del Forum - l’incremento per l’Italia è stato solo del 6,4%, rispetto al 33% della Germania, al 24,7% della Francia e al 21,2% della Spagna».

IL REPORT
Per i pazienti che hanno bisogno di cure significa in sostanza rischiare di non trovare un posto libero nei reparti e dover restare in attesa anche per giorni su una barella del pronto soccorso (il cosiddetto boarding). E la ragione è nota da tempo: sono almeno 100mila i posti letto di degenza ordinaria che mancano e 12mila quelli di terapia intensiva. In dieci anni, poi, alcune strutture (il 9 per cento, ossia 95 in tutto) hanno persino chiuso i battenti, passando da 1.091 del 2012 a 996 nel 2022, costringendo così i pazienti a spostamenti maggiori. A complicare la faccenda, c’è poi la carenza del personale sanitario: entro il 2025, andranno in pensione 29mila camici bianchi. Andranno via anche 21mila infermieri: già ora nei pronto soccorso capita che ce ne sia uno solo ogni 25 pazienti.

I RISCHI
E se è vero che il Pnrr prevede di riservare l’8,3% dei fondi previsti alla Sanità, a conti fatti le risorse destinate agli ospedali sono dedicate solo per l’aggiornamento tecnologico e per la ricerca scientifica, ma per il potenziamento strutturale ed organico o per l’acquisizione di nuovo personale i soldi bisogna cercarli altrove.

C’è poi il capitolo dei livelli essenziali di assistenza (Lea), ossia le cure fondamentali che dovrebbero essere assicurate sempre da Nord a Sud. Purtroppo, però, come ricorda Cognetti, «12 Regioni su 20 non garantiscono non la totalità, ma neppure la minima sufficienza. La maggioranza presenta infatti valori sotto la soglia in almeno una delle tre macroaree prese in esame: prevenzione, assistenza sul territorio e ospedale». E a questo punto, le persone o si spostano in altre regioni o rinunciano a curarsi. Inutile dire poi che, per carenza di risorse, l’introduzione dei nuovi lea - pubblicati ad agosto del 2023 - è stata rinviata al 2025. E intanto, denuncia il Forum, «le Regioni dovrebbero sobbarcarsi anche il cospicuo onere delle nuove prestazioni». Con la conseguenza che «le più povere, in particolare quelle sottoposte a Piano di rientro, non possono farlo». Le risorse in più, del resto, sono urgenti anche per prevenire l’insorgenza delle malattie. Le percentuali di cittadini che aderiscono agli screening oncologici sono pari a circa il 40% per la mammografia e per il Pap test o l’Hpv test ed inferiori al 30% per lo screening colorettale. Eppure, l’Unione europea chiede di raggiungere, entro il 2025, il livello del 90% di adesione per tutti e tre i programmi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA