Siccità Lazio, ancora 10 giorni «e poi acqua razionata». Il livello del Tevere si abbassa di 1 metro, allerta per i laghi di Bracciano e Albano

Niente pioggia e neve già sciolta: in Italia estate da allarme rosso

Siccità Lazio, ancora 10 giorni «e poi acqua razionata»
Siccità Lazio, ancora 10 giorni «e poi acqua razionata»
di Emiliano Bernardini
Giovedì 16 Giugno 2022, 00:34 - Ultimo agg. 23 Febbraio, 12:14
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La situazione è «catastrofica». Non piove da quasi un mese e l’acqua scarseggia. Basti pensare che sono caduti appena 162 mm di piogge, lo scorso anno furono più del doppio. Il Lazio e Roma soffrono già la grande sete e siamo solo a metà giugno. Il rischio è che se entro i prossimi dieci giorni dovesse continuare questo clima verrà razionata l’acqua. A lanciare l’allarme è Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi, associazione nazionale dei consorzi di bonifica. In particolare a preoccupare sono il Tevere e i castelli romani dove i laghi sono ai minimi storici con deficit idrico quantificabile in 50 milioni di metri cubi.

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Ma non va certo meglio a Roma dove i suoi fiumi sono più bassi di oltre un metro rispetto allo scorso anno.

Il campanello d’allarme suona già da qualche tempo e «se l’assenza di piogge dovesse continuare ancora per una settimana- dieci giorni ci sarebbe meno acqua per tutti gli usi a partire da quello potabile». Potrebbe dunque scattare anche nel Lazio il razionamento dell’acqua. Ma questo cosa significa e come verrebbe attuato? Prima di tutto si procederebbe con una diminuzione della potenza e dunque a soffrire sarebbero le zone più lontane da dove parte la pressione. Dunque un appartamento al settimo o l’ottavo piano a Roma potrebbe avrebbe dei problemi. E poi l’agricoltura sarebbe la prima ad essere colpita. 

 


LE CRITICITÀ
Finora è piovuto poco e niente e così Roma e il Lazio come parte d’Italia sono a rischio siccità. Il lago di Bracciano (già riserva idrica di Roma) è più basso di mezzo metro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Una situazione che non è ancora da bollino rosso ma che comunque preoccupa. Il 2022, infatti, è iniziato in linea con la siccità registrata nel 2017, quando il Lago di Bracciano era quasi due metri al di sotto del livello dello zero idrometrico (ossia a 163,04 metri sul livello del mare). Nonostante le captazioni siano bloccate, secondo gli esperti, la prolungata siccità potrebbe far innalzare ancora di più il livello di allerta. La situazione «catastrofica» riguarda soprattutto il bacino di Nemi che ha un livello medio (50 cm) inferiore di oltre un metro a quello registrato nello stesso periodo dell’anno scorso (162 cm) e soprattutto quello di Albano «un lago che sta morendo» come rimarca il direttore generale dell’Anbi.

«In queste zone – precisa ancora – le conseguenze dei cambiamenti climatici si sommano ad un’eccessiva pressione antropica, maturata negli anni ed i cui prelievi idrici hanno abbassato la falda a livelli tali da rendere ormai impossibile la ricarica degli specchi lacustri, le cui acque altresì sono richiamate nel sottosuolo». Tradotto non è più la falda acquifera ad alimentare i laghi ma è il contrario. Non solo i laghi ma anche le altezze idrometriche del fiume Tevere sono inferiori a quelle degli anni precedenti (un metro) e livelli minimi si registrano anche per Sacco ed Aniene. Le bombe d’acqua e l’assenza di neve (da martedì non ce n’è più in tutta Italia) di certo non aiutano. La neve, soprattutto, sarebbe un grande supporto perché permette all’acqua di permeare più lentamente nel terreno. Ma c’è di più: perché più cala la portata più la vita biologica del Tevere subisce uno choc, quindi potremmo vivere fenomeni come la moria di pesci.


LE SOLUZIONI
La vera questione al momento però è cosa fare in prospettiva? Perché la più volte evidenziata “tropicalizzazione” del clima è un problema che non si attenuerà di certo in breve tempo. Anzi. «L’idea - ci spiega sempre Gargano - è quella di attuare un cosiddetto “piano laghetti” che Anbi, Coldiretti e Consorzi di bonifica hanno già predisposto. Dei 305 miliardi di acque piovane ne raccogliamo appena l’11%, l’obiettivo è di raddoppiarle. E dunque quello a cui abbiamo pensato è di costruire dei bacini piccoli e medi scavandoli nel terreno. Bacini che appunto servono a convogliare l’acqua piovana. Questi laghetti sarebbero multifunzionali. In primis verrebbero costruiti ad altezze differenti in modo tale da creare energia idroelettrica tramite il sistema di caduta delle acque. Inoltre sfruttando il costo minore dell’energia, durante la notte con un sistema di pompe l’acqua verrebbe riportata in alto per far ripartire il processo l’indomani. Ma non finisce qui perché verrebbero posizionati dei pannelli fotovoltaici galleggianti su una parte degli specchi d’acqua».

Dal punto di vista tecnico la soluzione non è particolarmente complessa: basta montare i pannelli su supporti di plastica in grado di galleggiare: secondo gli esperti la loro collocazione su specchi e corsi d’acqua artificiali non avrebbe grande impatto sull’ecosistema locale, in compenso limiterebbe l’evaporazione nelle zone particolarmente siccitose e, soprattutto, ridurrebbe praticamente a zero il consumo addizionale di suolo. Inoltre la produzione energetica di tali impianti aumenterebbe grazie alla maggiore quantità di luce riflessa dall’acqua rispetto al terreno ed eliminerebbe l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera principale causa dei cambiamenti climatici. Ma c’è di più perché come ci spiega il direttore generale dell’Anbi «il sistema dei laghetti aiuterebbe la ricarica delle falde acquifere e dunque, cosa non certo di poco conto, avrebbe anche una funzione ambientale. Di fatto quest’acqua verrebbe utilizzata per irrigare i campi agricoli riducendo praticamente a zero i prelievi che vengono fatti». Una soluzione che è stata proposta al Governo a cui spetta una risposta. 

 

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