Papa Francesco ammette: «Non è facile stare chiusi in casa», a Santa Marta introdotto lo smart-working

Papa Francesco ammette: «Non è facile stare chiusi in casa», a Santa Marta introdotto lo smart-working
di Franca Giansoldati
Mercoledì 8 Aprile 2020, 09:44
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Città del Vaticano – Il confinamento a Santa Marta, la difficoltà incontrare la gente, il lavoro in smart-working, i turni per mangiare in mensa e mantenere l'isolamento prescritto dalle autorità. «Ognuno lavora nel proprio ufficio o dalla propria stanza con i media digitali. Tutti lavorano, non ci sono fannulloni qui».

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Papa Francesco in una intervista sulla crisi mondiale allo scrittore britannico Austen Ivereigh, pubblicata oggi contemporaneamente su "The Tablet" (Londra) e "Commonweal" (New York) parla della sua giornata quotidiana e del futuro che attende tutti. 

«La Curia sta cercando di andare avanti con il suo lavoro, di vivere normalmente, organizzandosi a turni in modo che non tutte le persone siano insieme nello stesso momento. Una cosa ben congegnata. Manteniamo le misure stabilite dalle autorità sanitarie. Qui a Casa Santa Marta abbiamo preso due turni di cibo, il che aiuta molto ad alleviare l'impatto» afferma Francesco spiegando che in questi giorni prega di più e immagina il dopo, quando si riapriranno le porte e la vita riprenderà a fluire normalmente. 

«Penso alle mie responsabilità di tanto in tanto, quale sarà il mio servizio come Vescovo di Roma, come capo della Chiesa, in futuro? Questo dopo ha già cominciato a mostrare che sarà un dopo tragico, un dopo doloroso, quindi è conveniente pensare d'ora in poi. Una commissione è stata organizzata attraverso il Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale per lavorare su questo e per incontrarmi».

La sua giornata è scandita da tempi di lavoro a tempi di preghiera. «E di un lavoro abbastanza intenso attraverso l'elemosina apostolica, di presenza per accompagnare le situazioni di fame e di malattia. Sto vivendo questo momento con molta incertezza. È un momento di molta inventiva, di creatività».

Anche per Francesco sono momenti difficili, tanto che ammette che «non è facile essere chiusi in casa». Il Vaticano sono state sospese sine die le udienze, i mercoledì, le visite (eccetto qualche rara eccezione per i capi dicastero), i viaggi internazionali. Difficile immagine come sarà l'attività del Vaticano nel post-coronavirus.

«È vero che alcuni governi hanno adottato misure esemplari con priorità ben definite per difendere la popolazione. Ma ci stiamo gradualmente rendendo conto che tutto il nostro pensiero, che ci piaccia o no, è strutturato intorno all'economia. Nel mondo della finanza sembra normale sacrificare. Una politica della cultura dello scarto. Dall'inizio alla fine. Penso, per esempio, alla selettività prenatale. Al giorno d'oggi è molto difficile trovare per strada persone con la sindrome di Down. Quando la TAC li vede, vengono inviati al mittente. Una cultura dell'eutanasia, legale o occulta, in cui al vecchio vengono somministrati dei farmaci in una certa misura».

Sul coronavirus cita un detto spagnolo. «Dio perdona sempre, noi di tanto in tanto, la natura mai. I disastri parziali non sono stati affrontati. Oggi, chi parla degli incendi in Australia? Che un anno e mezzo fa una barca ha attraversato il Polo Nord perché poteva navigare perché i ghiacciai si erano sciolti? Chi parla di inondazioni? Non so se sia una vendetta, ma è la risposta della natura».

In ogni caso quello che ascolta di tanto in tanto, leggendolo sui giornali, al Papa fa venire in mente tempi lontani, quando l'Europa maturava il terribile passaggio al nazismo. «Qui in Europa oggi, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di quel tipo selettive, non è difficile ricordare i discorsi di Hitler del 1933, che erano più o meno gli stessi discorsi di qualche politico europeo di oggi».

Sui politici si sofferma solo in un paio di punti. «Questa crisi riguarda tutti noi: ricchi e poveri. E' un avvertimento contro l'ipocrisia. Mi preoccupa l'ipocrisia di certi personaggi politici che parlano di entrare nella crisi, che parlano della fame nel mondo, e mentre ne parlano producono armi. E' ora di passare da quell'ipocrisia funzionale. Questo è un momento di coerenza. O siamo coerenti o abbiamo perso tutto». 

Un momento, tuttavia, da leggere anche in una chiave positiva. La crisi mondiale può suggerire un ripensamento di tanti stili di vita sbagliati. «Mi chiedete della conversione. Ogni crisi è un pericolo ma anche un'opportunità. Ed è l'opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un certo ritmo di consumo e di produzione (Laudato si, 191) e imparare a capire e a contemplare la natura. E riconnettersi con il nostro ambiente reale. Questa è un'opportunità di conversione. Sì, vedo i primi segni di conversione verso un'economia meno liquida e più umana. Ma non perdiamo la memoria una volta che questo è accaduto, non archiviamo la memoria e torniamo al punto in cui eravamo.Questo è il momento di fare il passo. È passare dall'uso e dall'abuso della natura, alla contemplazione. Noi uomini abbiamo perso la dimensione della contemplazione, dobbiamo recuperarla».

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