Latina, il racconto di una famiglia: «È stato un incubo, mio marito ricoverato, io positiva e senza nessuna assistenza»

Latina, il racconto di una famiglia: «È stato un incubo, mio marito ricoverato, io positiva e senza nessuna assistenza»
di Francesca Balestrieri
Mercoledì 4 Novembre 2020, 11:39
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Un isolamento che dura da più di un mese quello di Giovanna, Mario e il piccolo Gabriele (tutti nomi di fantasia, ndr), la cui odissea è iniziata a fine settembre quando Mario è risultato positivo al Covid19 dopo essere venuto in contatto con alcuni colleghi che avevano contratto il virus.

«Il primo problema è stato il fatto che il collega positivo ha fornito dei nominativi che però non sono stati comunicati alla Asl di competenza, che quindi non ha chiamato gli interessati per fare il tampone. Per precauzione ci siamo messi in quarantena con tutta la famiglia. Era venerdì. Il lunedì abbiano deciso di andare alla Asl di Latina per fare il tampone insieme alla mia famiglia. Otto ore di fila al Goretti. Io risulto positivo, mia moglie e mio figlio no».

«Inoltre racconta Giovanna - i nostri medici di base ci avevano sconsigliato di andare e aspettare la chiamata della Asl che ad oggi, non è mai arrivata. Al primo tampone al Goretti io e mio figlio eravamo negativi, ma i risultati sono arrivati dopo 72 ore, quando cioè io ho iniziato ad avvertire i primi sintomi. Considerando che il bambino è piccolo, cercava il papà nella stanza in cui stava passando la sua quarantena, non è stato facile. Intanto anche io avverto i primi dolori alle ossa, nausea, forte mal di testa, assenza di gusto e olfatto, tosse e qualche linea di febbre. Ho allertato il mio medico di base, che intanto ho cambiato perché si è dimostrato totalmente inadeguato, e sono tornata a fare il tampone, questa volta al Sani. Era il 9 ottobre, quando è stata accertata la mia positività. Quindi anche se mio marito è stato chiuso in una stanza e indossiamo la mascherina in casa, non è bastato.

Nel frattempo Mario è peggiorato ed è stato ricoverato al Goretti con un principio di polmonite».

IL RICOVERO DEL MARITO

«Una notte - racconta il marito - la febbre si è alzata molto e la tosse non mi faceva respirare, quindi ho chiamato il 118 e sono stato portato in ospedale dove sono rimasto per 12 giorni. Ero in stanza con due signori, uno poco più grande di me e l'altro un po' più anziano. Fortunatamente non ho avuto bisogno del casco per respirare, ma solo la mascherina dell'ossigeno e la terapia. Non è stato semplice». E non lo è stato neanche per la moglie: «Chiusa in casa, malata e con la paura che Mario potesse peggiorare da un momento all'altro. Pensavo ogni volta che lo sentivo per telefono: e se questa chiamata fosse l'ultima? Se non potessi più vederlo? Un incubo che non auguro a nessuno, soprattutto perché ci si sente soli, non avevo nessun numero da chiamare per sapere come comportarmi in caso di un peggioramento, non sono stata seguita. Ho comprato un saturimetro per monitorare la mia condizione da sola, chiedevo informazioni sul mio stato alla luce dei sintomi alla dottoressa che ogni sera mi chiamava per informarmi sulle condizioni di mio marito. Fortunatamente lui è uscito dall'ospedale e ora è negativo, io ancora no. Mi sento leggermente meglio, spero questo incubo finisca presto, non auguro a nessuno di ritrovarsi così. Ho contato a mente tutte le persone che ho incontrato e mi sono chiesta: e se ho contagiato qualcuno che ha qualche persona fragile in famiglia? La cosa più importante è il rispetto per le persone, e in troppi non ne hanno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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