Le plusvalenze sintomo ​di un calcio malato

Le plusvalenze sintomo di un calcio malato
Mercoledì 12 Gennaio 2022, 07:08
3 Minuti di Lettura

Gentile Direttore,
esisterà un modo per curare il calcio Italiano? il valore dei calciatori non è più legato all’effettiva bravura in campo, ma al bisogno di una società calcistica di aggiustare i conti. E sovente infatti che le squadre di calcio che acquistano il cartellino di un calciatore, cioè il documento che vincola quel calciatore alla società per un periodo ti tempo, in genere non più di 5 anni registrano nel bilancio quel costo distribuendolo per la durata del contratto, attraverso il procedimento contabile dell’ammortamento: se per esempio una squadra compra un calciatore a 50 milioni di euro e gli fa un contratto di 5 anni, quel calciatore nel bilancio ha un costo di 10 milioni di euro ogni anno. Per coprire questo costo alcune squadre vendono o scambiano dei giocatori aumentando il valore del loro cartellino: così nell’immediato mettono un bel segno più nel bilancio ma poi negli anni a seguire si devono accollare l’ammortamento e sono costrette a nuove plusvalenze per recuperare i soldi degli ammortamenti, precipitando in un circolo vizioso in cui la nuova plusvalenza copre la vecchia, come un cane che si morde la coda.

Almerico Pagano 
Scafati



Caro Almerico,
la plusvalenza in una azienda normale è il segno dell’efficienza.

Di lungimiranza, di buona gestione. Così dovrebbe essere anche nel calcio. E ci sono alcune società, vedi Atalanta, Udinese, Sassuolo, se vogliamo anche il Napoli, che in questi anni hanno comprato a poco, valorizzato e rivenduto a molto. Al tifoso viscerale potrà non piacere, ma il calciatore è un po’ come un’azione. Chi è bravo compra a poco e vende a molto. In Italia, però, le plusvalenze sono diventate una patologia. E si sono trasformate, al contrario, in sinonimo di inefficienza. Come bene dice lei, è un cane che morde si morde la coda. Bisogna sempre alzare di più il prezzo, spesso fittizio e sulla carta, fin o a quando la bolla non esplode, e le società si trovano davanti a due strade. Chi ha le spalle solide e risorse quasi infinite, come la Juve o l’Inter, ricapitalizza, a mio giudizio violando i criteri della concorrenza, ma questo è un altro discorso. La seconda strada è il fallimento. È quante ne abbiamo viste di società gloriose sparire tra i dilettanti. Per rimettere in piedi il gigante d’argilla ci vorrebbero allora almeno tre grandi rivoluzioni: stadi di proprietà per tutti, investimenti veri sui settori giovanili e soprattutto meno squadre in serie A.

Federico Monga

© RIPRODUZIONE RISERVATA