Gentile Direttore, sentiamo spesso dire: l’assessora, la Ministra. Non credo che la declinazione al femminile dei sostantivi maschili diano la misura del linguaggio inclusivo. Credo, invece, che il linguaggio inclusivo si debba tradurre in azioni sostanziali, che partono dalla valutazione del merito di una donna, sulla base delle sue capacità e competenze. Non è che per affermare il ruolo di una donna dobbiamo sorbirci la cacofonia a reti unificate di parole maschili declinate al femminile. Addirittura, i termini Assessora e Ministra, mi appaiono dei tentativi maldestri di vezzeggiare le donne che occupano quelle posizioni. E non è proprio così che si riconosce il valore di una donna, anzi, casomai si ottiene l’effetto contrario. Del resto, le Donne stesse che si sentono sminuite da un termine declinato al maschile, dovrebbero interrogarsi sul peso effettivo di quel termine e sulla reale incidenza che esso può avere nello svolgimento della propria professione. Alla fine dei conti, questa distinzione di generi mi appare una quisquilia.
Giovanna Galasso
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Cara Giovanna sono d’accordo con lei.
Federico Monga