Gentile Direttore, dunque abbiamo voltato le spalle al nucleare ritenendolo pericoloso quale fonte di energia. Tuttavia, nel nostro territorio, ospitiamo diverse decine di testate nucleari. Ci costano circa cento milioni l’anno e rendono il nostro Paese un bersaglio possibile da parte di realtà belligeranti. È stato un errore pagato a caro prezzo. Non crede? E soprattutto come uscirne?
Gabriele Salini
Caro Gabriele, l’8 e 9 novembre 1987 l’Italia disse «no» all’uso dell’energia atomica con il primo, storico, referendum sul tema. Una decisione epocale, presa nel Paese patria di Enrico Fermi, il primo a innescare nel 1942, a Chicago, una reazione nucleare a catena controllata. Occorre ricordare che gli anni in cui venne proposto il referendum erano quelli della corsa agli armamenti e che il ricordo del disastro di Chernobyl. I vantaggi a cui abbiamo rinunciato sono stati: emissioni CO2 particolarmente basse, riduzione della dipendenza da petrolio e gas, elevata produzione di energia a basso costo, cicli di vita degli impianti molto lunghi. Detto dei pro, veniamo agli ostacoli (superabili come in altri Paesi): gestione delle scorie nucleari, costi di realizzazione iniziali molto elevati, produzione di sola energia elettrica e non rinnovabile. Vogliamo discuterne, serenamente e senza ideologie né sull’onda di emozioni?
Federico Monga