Gentile Direttore,
torno su un argomento ha suscitato e sta suscitando ancora polemiche. Mi riferisco all’intervista al ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, da parte di una tv commerciale italiana. Io credo di tratti di interviste sterili e pretestuose. Il giornalista Giuseppe Brindisi, infatti, ha semplicemente fatto il proprio lavoro. Poi si possono criticare le affermazioni deliranti del politico russo, che esprime una visione di parte di un Paese che ha scatenato la guerra invadendone un altro, ma tuttavia si è trattato di uno scoop. Un giornalista deve dare voce a tutti, come insegna Oriana Fallaci.
Gabriele Salini
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Caro Gabriele,
concordo con lei che uno dei ruoli del giornalismo sia dare voce a tutti, anche al male assoluto, che l’intervista a Lavrov sia stata uno scoop e che molti giornalisti, me compreso, avrebbero voluto avere quella opportunità. Il giornalismo è racconto, testimonianza. La storia è costellata di dittatori, sanguinari, criminali molto più che di santi e buoni samaritani. Il giornalismo che è il racconto dell’attuale però non deve mai cadere nella sindrome dell’astante. Mi spiego. Si deve e si può intervistare chiunque, dipende però dal contesto e dalla misura. E spesso né l’uno né l’altra vengono tenute da conto. Vediamo il contesto. Il ministro russo Lavrov, così come avvenne in caso di interviste tv a mafiosi, se non lo si vuole incalzare troppo durante il dialogo va comunque contestualizzato. Ovvero, una volta finita la sua intervista, durante la quale un po’ di contraddittorio in più non sarebbe guastato, alcune sue informazioni, come quella su Hitler di origine ebraica, andavano confutate in un servizio ad opera della redazione. Passiamo alla misura. Faccio un passo indietro all’epoca Covid. Le trasmissioni erano piene zeppe di voci dissenzienti dei no green pass come se rappresentassero la maggioranza. Quello non era giornalismo ma dar voce a chi grida di più, a chi la spara grossa, allo stravagante a tutti i costi.
Federico Monga