L'America in automobile: Georges Simenon e il suo viaggio on the road negli Stati Uniti

L'America in automobile: Georges Simenon e il suo viaggio on the road negli Stati Uniti
di Ebe Pierini
Domenica 17 Dicembre 2023, 19:14
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Amava le pipe. Ne possedeva duecento. E amava molto anche le donne. Si racconta che ne abbia avute diecimila delle quali ottomila erano prostitute. Quando si parla di Georges Simenon la verità va spesso a braccetto col mito. Quel che è certo ed inconfutabile è comunque che ha venduto 700 milioni di libri nel mondo, ha scritto circa 450 romanzi, è stato tradotto in 58 lingue ed è stato letto in 44 nazioni. Riusciva a scrivere fino ad 80 pagine al giorno. Ma il nome di Simenon non deve essere ricondotto sempre e solo alla sua creatura più celebre, quel commissario Maigret che come lui adorava tanto la pipa. Lo scrittore belga infatti è autore anche di 3000 reportage.

È da poco uscito tra i volumi della Piccola Biblioteca di Adelphi “L’America in automobile”, l’ultimo di una serie di reportage che la casa editrice ha scelto di centellinare degli anni. Dopo Il Mediterraneo in barca (2019), Europa 33 (2020), A margine dei meridiani (2021) e Dietro le quinte delle polizia (2022) è ora la volta di  questo racconto del viaggio on the road negli States del celebre scrittore.

Simenon è in fuga dalle accuse di collaborazionismo del periodo post bellico. Nel 1941 aveva firmato un contratto con la Continental Films, società a capitale tedesco diretta dal produttore Alfred Greven, buon amico di Hermann Gӧring , la quale aveva prodotto e distribuito ben 9 film tratti dai suoi romanzi.  Nel 1945 i giornali pubblicarono la notizia che lo scrittore era stato imputato di “intelligenza con il nemico”. A questo si aggiunga pure che suo fratello Christian, militante di un gruppo di estrema destra, era ricercato per aver partecipato, nel 1944, ad una spedizione punitiva nella quale avevano trovato la morte 19 civili.

Lo scrittore riesce quindi ad ottenere due visti per Stati Uniti e Canada per lui e la moglie.

Il 5 ottobre del 1945 Georges Simenon sbarca a New York con la moglie Tigy e il figlio Marc. È curioso di conoscere meglio il Paese dove scrivere la sua nuova vita e parte al volante di una Chevrolet per un viaggio di cinquemila chilometri che dal Maine lo porterà sino a Sarasota, sul Golfo del Messico.

“È una sensazione rara e deliziosa per chi viaggia arrivare in una paese e trovarlo identico a come lo aveva sognato” scrive Simenon. È attratto da New York dove si sente perfettamente a suo agio ma soprattutto dalla gente e dai “piccoli particolari della quotidianità”. A conquistarlo è la forte tensione verso l’allegria, la gioia di vivere che trasmettono gli americani, dalla cordialità nei rapporti di lavoro ma anche dalla fiducia in sé stessi che le scuole sanno inculcare negli studenti. È piacevolmente compiaciuto della cortesia degli abitanti del Sud e imparerà che nella nuova patria vige un tipo di vita che tiene conto più di qualsiasi altro della dignità dell’uomo”.“Assimilo da tutti i pori questa vita americana che scopro non più sotto un profilo folkloristico ma in profondità, una vita semplice, bonaria e cordiale, in cui ciascuno rispetta l’altro” spiega lo scrittore.

Nell’estate del  1947 si dirige a Ovest, nella terra di pionieri e cow boy a bordo di una Packard 48. Pochi mesi dopo è a Tucson. Nel maggio del 1948 si sposta a Tumacacori tra mandie di vacche e serpenti a sonagli.  A fine 1949 raggiunge Camel – by – the – Sea, 170 chilometri a sud di San Francisco.

Nel giugno del 1950, un nuovo trasferimento, nel Connecticut, a Lakeville. Rimane gli Usa 10 anni tanto da pensare anche di prendere la cittadinanza. Poi, all’improvviso, il 19 marzo del 1955, lascia definitivamente il suolo americano.

“L’America in automobile” è una sorta di diario di viaggio che si concretizza in una serie di articoli sulla sua esperienza oltreoceano. Un reportage breve ma interessante e ricco di curiosità. Ci mostra un’America del periodo post bellico che sprizza energia, entusiasmo, voglia di vivere e modernità. Un Paese che lo appassiona per l’ottimismo della sua gente, per la modernità, per l’abbondanza di elettrodomestici, per i paesaggi che mutano costantemente, per gli hotel sfarzosi ma anche per la natura selvaggia ed incontaminata.

Lui che è europeo ritrova in America un pezzettino di tante patrie. “In un continente in cui sono rappresentati tutti i vecchi paesi, ognuno ha apportato, si direbbe, il proprio segno distintivo, il proprio genio, e per quanto tutto ciò si sia fuso insieme più o meno completamente formando un tutt’uno caratteristico, è pur vero che in qualsiasi grande città americana, come anche nelle campagne, si può ritrovare una sorta di geografia dell’Europa” scrive.

E ampio lo spazio lo dedica anche ai nostri connazionali. “Gli italiani sono con tutta probabilità quelli che hanno dato l’apporto più evidente e, ai miei occhi, se non il più importante, perlomeno, il più gustoso - aggiunge Simenon - In ogni strada, in ogni cittadina, in ogni campagna vedrete sopra una porta un’insegna luminosa rossa o blu con la scritta “Pizza”; i ristoranti, i bar si chiamano “Luigi’s”, “Napoli”, “Roma”, eccetera”. Insomma siamo noi i veri maestri dei sapori. “Se sono stati i muratori italiani a costruire i famosi grattaceli e a rivestirli di travertino bianco importato dall’Italia, sono stati sempre gli italiani a sfamare una popolazione indaffarata e a fare, a poco a poco, della loro cucina nazionale, la base della cucina di un paese nuovo – scrive lo scrittore belga - Pizza, spaghetti, ravioli, minestrone, pesto, porcini secchi, zuppe di frutti di mare, gamberetti arrostiti al basilico, cibi che troverete perfino nel più minuscolo paesino d’America, e ovunque scoprirete anche accanto al grande negozio asettico, un’angusta bottega all’interno della quale, in mezzo al rosso acceso dei peperoncini e dei fiaschi di Chianti, sono appesi mortadelle, prosciutti e salami. In Florida e in California hanno introdotto l’arancia e il carciofo, lungo tutta la costa del Pacifico hanno piantato vigne da cui ricavano il vino”.

Ed è quasi commovente l’immagine che dipinge Simenon degli immigrati italiani in America. “Sono milioni a lavorare così, fornendo da bere e da mangiare a quell’enorme babilonia, e a vederli nei loro retrobottega o nelle loro fattorie, seduti alla tavola di famiglia, dove parlano la lingua della loro antica patria, sembrerebbe proprio di stare in un borgo del Piemonte, della Puglia, della Toscana, in un vicolo di Napoli o di Palermo. Hanno portato con sè gli odori famigliari del Mediterraneo, il gusto delle erbe e delle specie, e anche quello dei piccoli mestieri, dell’artigianato, del lavoro in famiglia”.

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