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Antonio Albanese: «Prima di iniziare a recitare lavoravo in fabbrica. Solo la cultura potrà salvarci»

Parla il protagonista del film “Grazie ragazzi”: «Spiega in maniera popolare che l’arte può cambiare la vita. Proprio com’è successo a me»

Antonio Albanese: «Prima di iniziare a recitare lavoravo in fabbrica. Solo la cultura potrà salvarci»
Antonio Albanese: «Prima di iniziare a recitare lavoravo in fabbrica. Solo la cultura potrà salvarci»
di Gloria Satta
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 9 Gennaio 2023, 22:34 - Ultimo agg. : 10 Gennaio, 01:09
4 Minuti di Lettura

Ha preso in giro i radical chic nella saga sbanca-botteghini Come un Gatto in tangenziale, fatto a pezzi i politici corrotti attraverso il personaggio grottesco di Cetto Laqualunque, sbertucciato la mafia nell’irresistibile serie I topi. Ora Antonio Albanese, dai 15 ai 22 anni operaio e poi attore di successo, ci porta dentro a un carcere: nella commedia Grazie ragazzi (produzione Palomar, Wildside e Vision in sala il 12 gennaio), regia di Riccardo Milani, interpreta un attore fallito che campa doppiando i porno e un bel giorno riceve l’incarico di organizzare un laboratorio teatrale con un gruppo di detenuti. Con questi, totalmente digiuni di cultura e speranzosi solo di uscire, mette in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett, sofisticato caposaldo del Teatro dell’Assurdo: il successo è travolgente, l’improbabile compagnia diventa un “caso” e viene richiesta dai teatri di tutta Italia. Fino all’epilogo tutt’altro che prevedibile, mentre Antonio scopre la realtà del carcere e recupera il suo rapporto con il mestiere.

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L’UMANITÀ

Si ride molto, ci si commuove, si riflette, soprattutto si viene travolti dalla straripante umanità di Albanese circondato da colleghi impeccabili come Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Bogdan Iordachioiu, Nicola Rignanese, Fabrizio Bentivoglio (l’amico attore più fortunato), Sonia Bergamasco nel ruolo della direttrice del carcere, inflessibile ma anche no. «Ho girato il film pensando al pubblico», dice Milani che si è ispirato al successo francese Un triomphe, a sua volta basato su un fatto di cronaca avvenuto in Svezia negli anni ’80. «Nella storia ho ritrovato i miei inizi», rivela Albanese, 58 anni e una carriera sempre a cavallo tra cinema e palcoscenico, «fino ai 22-23 sono stato lontano anni luce dal teatro, perché a 15 ero entrato in fabbrica.

Poi, con la scoperta del palcoscenico, la mia vita è cambiata. Questo film spiega in una forma magnificamente popolare che la cultura può offrire una seconda possibilità. Io sono l’esempio vivente di questa realtà: prima di incontrare la recitazione vivevo in un paesino sul lago di Lecco, non stavo male ma ero pieno di limiti... La cultura fa bene, ti salva, anche se alle ultime elezioni nessun politico l’ha mai citata, ed è una vergogna». Al teatro deve moltissimo, aggiunge, «e sono diventato un attore comico per necessità: per mantenermi all’Accademia e pagarmi l’affitto facevo degli spettacolini di nascosto perché il rigido regolamento non lo permetteva».

IL SUCCESSO

Poi sono venuti i primi film, il successo, la voglia di esplorare la società. «Nelle due stagioni della serie I topi ho ironizzato sulla mafia soprattutto per parlare alle nuove generazioni», s’infervora Albanese, che nel film Contromano ha parlato di immigrazione, «il segreto del mio lavoro è non essere mai in ritardo: per avere l’ispirazione devi seguire l’attualità». E cosa suggerisce oggi l’attualità a un attore come lui, sempre attento al mondo che lo circonda? «Sento un gran bisogno di promuovere la solidarietà, la difesa del territorio in cui abitiamo. Attraversiamo un momento storico difficile, servirebbe un senso civico più alto». Anche se Cetto Laqualunque, aggiunge, «c’è stato, c’è ancora e ci sarà sempre». Ma quanto è cambiata la commedia? «Oggi deve essere più crudele, deve assestare rasoiate», risponde l’attore, «si è persa la leggerezza, ma l’ironia non morirà mai soprattutto nel nostro Paese in cui può contare su tante declinazioni locali». Albanese confessa di avere ancora una grande paura della diretta tv, «mi batte il cuore a mille, sapendo di avere milioni di spettatori rischio si svenire: è il motivo per cui faccio pochissime ospitate».

IL MELODRAMMA

In compenso, al cinema e al teatro affianca un’intensa attività di regista di melodramma, «sono un appassionato del genere, mi carica»: il 10 febbraio debutterà al Lirico di Cagliari il suo allestimento di Gloria, un’opera di Francesco Cilea raramente rappresentata, «l’ultima volta fu nel 1938», dice orgoglioso. Come un gatto in tangenziale 3? «Se ne sta parlando». Intanto uscirà a breve il suo nuovo film da regista e interprete Cento domeniche: «Protagonista è un operaio che sogna di far sposare la figlia in grande stile ma perde tutti i risparmi, carpiti dalla banca. E per lui si aprono le porte dell’inferno. Questo film è un piccolo gioiello, lasciatemelo dire, è una storia che mi tocca profondamente. Quell’uomo avrei potuto essere io».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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