Lo scorso 25 settembre, come innumerevoli volte in passato, circa 5 milioni di italiani hanno dovuto riflettere se adempiere o meno a un importante dovere - che poi sarebbe in prima battuta un diritto: votare. E non è di certo colpa di queste persone se alle scorse elezioni politiche l'ha fatta ancora da padrone l'astensionismo. In Italia infatti la legge prevede solo poche deroghe per chi abbia intenzione di votare nella propria città di domicilio, e non in quella di residenza. Ogni volta che c'è da esprimere la propria preferenza alle urne, studenti e lavoratori fuorisede vengono dimenticati dalla politica, costretti a impegnare non poco tempo e denaro per tornare a casa e rispettare, va ricordato, uno dei più basilari diritti.
Per questo è stato concepito Voto dove vivo, comitato nato nel 2018 a Roma per spronare la politica a non lasciare indietro queste persone. «Con il tempo il movimento si è espanso a macchia d'olio - racconta Thomas Osborn, tra i fondatori di Voto dove vivo -, riuscendo a coinvolgere tante associazioni civiche, partiti politici e liste nelle università e nei sindacati in tutta Italia.
«Abbiamo da subito provato ad aggregare e sensibilizzare il più grande numero di persone possibili - prosegue Osborn -, che magari prima non si erano neanche accorte dell'esistenza del problema. Lo abbiamo fatto in prima battuta con una campagna social, poi nelle università, fino a svolgere una sorta di tour in otto città italiane, tour che a breve riprenderemo. Abbiamo coinvolto gli amministratori locali di oltre cento comuni italiani, ma soprattutto - a differenza delle infinite campagne dalla vita breve su questo tema - la nostra battaglia si è incentrata sulla creazione di una proposta di legge, che il comitato ha lanciato a diverse forze politiche. Già nella scorsa legislatura, assieme alla deputata del Pd Marianna Madia, abbiamo scritto un testo che superasse questo problema.
Purtroppo questa proposta di legge non ha avuto un percorso semplice. Nei primi due anni della precedente legislatura, la legge era finita nell'ultimo cassetto della Commissione affari costituzionali. Grazie alla battaglia, nostra fuori dal parlamento e dei parlamentari in aula che ci credono ancora, la proposta è arrivata in discussione. Ci sono voluti due anni per arrivare a un consenso politico trasversale, fino alla calendarizzazione, fissata per il 24 luglio 2022».
Come tutti sappiamo, però, il 24 luglio dello scorso anno il governo Draghi è caduto e le speranze del comitato e dei tanti fuorisede sono andate in frantumi. «Nei primi mesi di questa nuova legislatura - continua Osborn - abbiamo scritto un nuovo testo, ripartendo dal lavoro fatto nella scorsa legislatura, depositato questa volta con ancora più forze politiche a supporto».
Nel dettaglio dunque, cosa prevede questa proposta? «Nella passata legislatura avevamo previsto il voto per corrispondenza, cioè per posta, sistema che oggi fa votare gli italiani all'estero e gli studenti in Erasmus. Con il nuovo testo invece, prendendo spunto dal tanto lavoro della commissione negli ultimi cinque anni, abbiamo adottato un sistema diverso: il voto anticipato presidiato. Con questa modalità i cinque milioni di fuorisede, pre-registrandosi mediante Spid, avranno diritto a votare due settimane prima di tutti gli altri recandosi alla prefettura più vicina a dove vivono. La prefettura si prenderà carico della scheda, portandola al seggio di provenienza da cui il fuorisede parte, e contarla nel seggio di residenza. Ci tenevamo molto a poter garantire, qualora lo si volesse, il legame politico tra la città di domicilio temporaneo e quella di residenza».
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