«Pizza doc, la ricetta è da rivedere»

«Pizza doc, la ricetta è da rivedere»
Martedì 26 Gennaio 2016, 08:54 - Ultimo agg. 22:50
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La prima cosa a cui si deve mettere mano è la modifica del disciplinare della Pizza Napoletana Stg. Antonio Pace, che lo ha scritto insieme ad altri sedici pizzaioli nel 1984, e Massimo Di Porzio lanciano la «bomba» durante il convegno organizzato da Formanentis a Palazzo Caracciolo che si conclude stamattina al termine di due giorni di dibattiti e scambi intensi di esperienze e aggiornamenti tra operatori, tecnici, studiosi e giornalisti specializzati.
Secondo la leadership dell'Associazione Verace Pizza Napoletana, è venuto il momento di ripensare al disciplinare per tutelare meglio il marchio di Napoli e la strada non può che essere l'individuazione di una pizza specifica, la margherita, nata, come vuole la leggenda, in onore della regina Margherita in visita a Napoli.

La riflessione riguarda proprio lo sforzo di ricostruzione della identità e della tipicità del concetto di pizza. Fermo restando la preferenza del forno, l'Associazione Verace Pizza ribadisce di non essere contro l'innovazione, purché sia al servizio del modello napoletano e non implichi il rinunciare ad alcune delle caratteristiche precise della pizza così come si è andata delineando a partire dalla metà del 1700 come ha ricordato Antonio Mattozzi, il cui libro scientifico è appena uscito in una traduzione in inglese arricchito di nuovi studi.

Il convegno è partito dai forni, ma ovviamente ha messo in evidenza tutto il mondo che ruota attorno alla pizza,un mondo rimasto sostanzialmente immbile sino agli anni '50 e che negli ultimi anni ha subito una grande accelerazione anche grazie ad alcune figure importanti e innovatrici, come Enzo Coccia che ha puntato sulla qualità, Gino Sorbuillo che è stato capace di coniugare la tradizione e la memoria ai nuovi strumenti di comunicazione, tv e social media, ai fratelli Salvo che hanno imposto un nuovo concept di pizzeria dove è possibile trovare una vera e propria carta dei vini e che mette in evidenza l'importanza dell'abbinamento su cui è intervenuto il delegato Ais di Napoli Topmmaso Luongo.

La pizza è un argomento che scalda e che divide, è espressione di uno stile di vita come hanno notato gli antropologi Elisabetta Moro e Marino Niola e che parte da un concetto di tipicità su cui ha parlato il professore Luigi Moio.
Una grande risorsa, insomma, che rischia di disperdersi in tentazioni commerciali ma che però ha consolidato un forte brand in grado di fronteggiare qualsiasi rischio di contaminazione. Lo dimostra l'espansione di questo prodotto in Italia e nel mondo che impone lo stile napoletano dell'impasto idratato e soffice che conferisce quella elasticità indispensabile per mantenerlo cibo da strada e soprattutto cibo popolare.

Il boom degli ultimi cinque anni, complici la crisi economica dei ristoranti e della diffusione su internet, ha restituito vitalità ad una settore che ha avuto nella sua manualità fantastica maturata in due secoli il suo grande e inarrivabile punto di forza.

Una manualità che però non ha avuto sempre la possibilità di essere raccontata dai protagonisti. Il motivo è che fare il pizzaiolo sino a non molti anni fa non era un mestiere a cui un giovane poteva aspirare e i più anziani ricordano bene i tempi della fame e delle difficoltà. La vera scommessa dunque si gioca sulla formazione e sulal capacità di codificare a livello burocratico una idea di pizza che sia al tempo stesso tradizionale e capace di scapolare nel terzo millennio senza perdere l'identità.
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