«Strage di Torino, troppi articoli a giustificare l'assassino: così rendiamo due volte vittime le donne»

«Strage di Torino, troppi articoli a giustificare l'assassino: così rendiamo due volte vittime le donne»
di Vanna Ugolini
Mercoledì 11 Novembre 2020, 17:43 - Ultimo agg. 16 Febbraio, 18:43
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Eppure non sarebbe così difficile. Basterebbe un po' di attenzione e la capacità di uscire dagli stereotipi. Basterebbe non guardare i fatti solo dal punto di vista di chi ha il potere ma, anche, da quello della vittima. Sulla vicenda della strage di Torino, lui che ammazza moglie, due figli e anche il cane e poi si uccide si sono lette sui giornali parole troppo morbide, troppo accondiscenti nel confronti di un killer violento che non ha giustificazioni, di un uomo che ha usato il suo potere su tutte le persone e gli esseri viventi che avrebbe dovuto semplicemente amare, uccidendoli. Lui era Alberto Accastello, operaio di 40 anni, lei Barbara Gargano, madre di due gemellini di 2 anni che, probabilmente, voleva separarsi dal marito. Una colpa? Una giustificazione? Certe questioni si risolvono in tribunale, con una separazione, non a colpi di revolverate. 

Eppure ci sono stati modi di raccontare questa vicenda che hanno quasi giustificato la violenza dell'assassino. 

Così Mimma Caligaris (presidente Cpo Fnsi), Paola Dalle Molle (coordinatrice Cpo Cnog),Silvia Garambois (presidente Giulia giornaliste), Monica Pietrangeli (coordinatrice Cpo Usigrai) hanno firmato una lettera rivolta a tutti i giornalisti e a tutte le giornaliste, invitandoli, ancora una volta, a usare le parole giuste quando si parla di femminicidi. Perche le parole "fabbricano" il pensiero, lo forgiano, sono influenti. 
«In questi mesi di pandemia non si fermano i casi di femminicidio, punta dell’iceberg della violenza contro le donne.

Raccontiamola in modo corretto: basta parlare di raptus! Basta giustificare gli assassini! Basta ai facili moventi come la depressione e la gelosia! Basta far ricadere sulle donne la responsabilità della loro morte!» Parole che si dicono da anni, che si ripetono ai corsi di formazione professionale ma che si infrangono, troppo spesso, contro il muro degli stereotipi. 

«La grave crisi che sta attraversando il nostro Paese sta mettendo sotto pressione anche la nostra categoria. Ma proprio in un momento complesso come questo dobbiamo dare prova di essere capaci di narrare quanto accade nella consapevolezza della grande responsabilità che abbiamo nei confronti di chi ci legge e ascolta».

«Abbiamo elaborato il Manifesto di Venezia, a cui hanno aderito liberamente centinaia di giornaliste e giornalisti  nel tentativo di offrire uno strumento di lavoro utile ad inquadrare in modo corretto il fenomeno. Sappiamo che molte e molti si sforzano di farlo ogni giorno - proseguono - Ancora troppo spesso però ci dimentichiamo, scrivendo i nostri articoli o servizi radiofonici e televisivi, che la violenza contro le donne non può essere ridotta a meri fatti di cronaca. Che si tratta di un fenomeno strutturale della nostra società e come tale abbiamo il dovere di raccontarlo: violenza contro le donne in quanto donne, per questo è necessario utilizzare la parola “femminicidio”».

Caligaris, Dalle Molle, Garambois e Pietrangeli fanno appello «al senso di responsabilità di ciascuna e ciascuno. L’omicida di Torino - solo l’ultimo di molti esempi - non ha avuto un raptus, lo sterminio che ha compiuto non è nato dal nulla. I dati ci raccontano che il gesto finale di eliminazione della propria compagna, moglie, ex arriva dopo un lungo periodo di violenze e soprusi. Non rendiamo vittime una seconda volta le donne assassinate, non cadiamo in queste narrazioni tossiche, diamo valore alla nostra libertà di informare».

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