Cecilia Laschi, la scienziata e il suo octopus gigante immagine dell'Italia nel mondo

Cecilia Laschi, la scienziata e il suo octopus gigante immagine dell'Italia nel mondo
Lunedì 24 Giugno 2019, 08:12 - Ultimo agg. 11:13
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Né pizza né mandolino: da qualche anno un polpo robot è la nuova immagine dell'Italia nel mondo. Il merito è di Cecilia Laschi, 51 anni, livornese, professoressa di bioingegneria industriale presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. La scienziata, infatti, considerata una pioniera nel campo della robotica, ha messo a punto una nuova generazione di robot definiti soft perché privi di struttura rigida e ispirati alla destrezza del polpo. Su queste macchine, che hanno potenzialità finora impensabili perché flessibili e capaci di muoversi in ogni condizione di spazio, sono puntati gli occhi dei ricercatori di tutto il mondo.
 



Spesso i ricercatori si ispirano al mondo animale per sviluppare robot più performanti. Lo hanno fatto con le strutture ossee e muscolari di ghepardi, elefanti e struzzi ad esempio. Lei come è arrivata al polpo?
«Cercavamo qualcosa che fosse opposto rispetto all'idea tradizionale di robotica rigida con cui, per applicazioni industriali ad esempio, emulavamo la struttura di un braccio umano. Il polpo è stato la risposta giusta non solo perché non ha scheletro ed è quindi soffice, ma anche perché il suo corpo ha comportamenti complessi rispetto all'ambiente che lo circonda. Ha quella che chiamiamo embodied intelligence, ovvero la capacità di adattarsi e reagire agli stimoli esterni senza che sia il cervello a indicarglielo: non reagisce solamente agli impulsi, ma li previene e si adatta. Inoltre, nonostante l'assenza di elementi rigidi, fa tutto ciò che ci si aspetta da un robot: afferra gli oggetti, li manipola, cammina su qualsiasi superficie e nuota con la propulsione a getto pulsato. All'occorrenza la sua struttura muscolare è orientata in modo da poter irrigidirsi a sufficienza. Non so perché non ci avevamo mai pensato, ma era il modello perfetto».

Una vera «rivoluzione nella robotica», come l'ha definita lei stessa, ma come può essere utile?
«In tantissimi modi, soprattutto perché non bisogna immaginare necessariamente un polpo. Il nostro progetto bio-ispirato non vuol dire copiare l'animale ma capirne il principio. Noi dotiamo i robot del modello matematico ispirato all'animale, dopodiché tocca modellarlo anche scegliendo i materiali giusti come silicone, polimeri elettro attivi o fibra intrecciata. Ad esempio insieme al collega Marcello Calisti abbiamo realizzato un robot marino che non naviga come le macchine sviluppate fino ad ora, ma cammina sui fondali evitando gli ostacoli e raccogliendo campioni di sedimenti per cercare le micro-plastiche in mare. Grazie a un'azienda di surgelati (Arbi, ndr.) che vuole tutelare quello che è il proprio ambiente di lavoro, abbiamo già un prototipo che sta realizzando le prime campagne in mare».

Estrapolando il modello matematico però, i campi di applicazione sono potenzialmente infiniti.
«Esatto, soprattutto a livello biomedico. Ai medici brillano gli occhi quando vedono il nostro polpo e capiscono di cosa si tratta. Ad esempio con la soft robotics abbiamo realizzato un endoscopio morbido capace di deformarsi all'interno del corpo umano e di irrigidirsi, proprio come fa il braccio del polpo, solo quando serve: cioè quando deve eseguire l'intervento. Oppure anche un sistema che aiuta le persone anziane sotto la doccia: si tratta di una sorta di tentacolo, di braccio snodabile che consente di lavarsi in autonomia e in sicurezza, spruzza acqua e strofina la schiena. Lo abbiamo già testato al Santa Lucia di Roma e in un centro di riabilitazione in Germania».

Più in generale, quali sono le prossime sfide della robotica?
«Ci sono almeno tre elementi. Ormai abbiamo raggiunto un punto in cui la robotica industriale va benissimo, siamo a livelli di efficienza molto alta. Sembrava che questa tecnologia potesse essere portata in strada o in casa e funzionare. Però non è proprio così, c'è bisogno di lavorare ancora tanto per rendere le macchine capaci di relazionarsi con l'imprevedibilità del mondo esterno. Per questo quella della embodied intelligence è una direzione»

La seconda?
«Dobbiamo capire in che modo queste tecnologie diventeranno parte della nostra quotidianità, magari prima che lo facciano. Fino ad ora abbiamo accettato tutto ciò che di nuovo arrivava, trovandoci dall'oggi al domani a usare gli schermi touch o chissà quale dispositivo. Così sono cambiate le nostre abitudini sociali e inoltre, si ha un impatto molto forte sul mondo del lavoro».

E l'ultima?
«È un po' il tema del momento. Anche la robotica si muove in maniera completamente avulsa rispetto al mondo naturale: inquina, consuma e fa danni. Non è un aspetto che si può più ignorare».

Ha parlato di impatto sul mondo del lavoro, pensa che i robot ce lo ruberanno?
«Magari (ride, ndr.). Rispondo sempre così ma è una provocazione, perché in parte è già successo. Non è colpa dei robot, si tratta semplicemente di un cambiamento: adesso siamo in grado di fare delle cose da soli ed aumentare la produttività, ad esempio facendo benzina, sostituendoci alla cassiera al supermercato o facendo il nostro check-in in aeroporto, se pensiamo alla vita di tutti i giorni. Però non possiamo accettare di mandare un poveretto a pulire una cisterna con tutti i rischi che ci sono, meglio che lo faccia un robot. Bisogna anche capire quale lavoro stiamo difendendo».

Inoltre rallentare la ricerca sulla robotica vorrebbe dire anche perdere un primato perché l'Italia in questo momento è tra i leader mondiali.
«Sì e peraltro noi italiani, come gli europei in generale, abbiamo quel background culturale e la capacità tecnologica che ci permetterebbe di sviluppare robot tenendo conto anche di considerazioni etiche o economiche. Siamo uno dei grandi protagonisti della robotica internazionale perché siamo partiti prima e siamo stati bravi, ma ora altri stanno investendo più di noi. Rischiamo di restare fermi e perdere le menti migliori: i miei studenti ad esempio sono tutti in giro per il mondo con progetti grossi e finanziamenti da parte di altri Stati».
Francesco Malfetano
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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