Prof uccisa in via del Babuino, lettera all'assassino: «Non fingerti malato mentale»

Michela Di Pompeo, uccisa dal compagno
Michela Di Pompeo, uccisa dal compagno
di Alessia Marani
Domenica 9 Giugno 2019, 19:32
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«Lettera a un condannato per femminicidio o per violenza sulle donne». La scrivono le amiche e gli alunni di Michela Di Pompeo, la professoressa di 47 anni della Deutsche Schule di Roma, barbaramente uccisa dal compagno Francesco Carrieri, 55 anni, nella loro casa in affitto di via del Babuino nella notte del 1 maggio del 2017. Il 13 giugno si discuterà l'appello in Corte di assise per il dirigente bancario che quella notte la colpì con il manubrio di un peso sfigurandola, per poi soffocarla nel letto che fino a poco prima condividevano.

 Il Movimento Spontaneo degli amici/che e studenti di Michela «nato per portare avanti una voce a favore dell’educazione sentimentale per contrastare ogni forma di violenza di genere», è convinto che la difesa insisterà sulla supporta infermità mentale dell'uomo, puntando a una riduzione della pena inflitta, trent'anni con rito abbreviato.

 «Una supposta infermità mentale - spiegano - che non gli avrebbe tolto però la capacità di pianificare, mentre era già in carcere, la riscossione da parte dell'ex moglie del suo Tfr e di fare sparire il suo patrimonio per evitare qualsiasi risarcimento per le figlie di Michela». Giovedì mattina, il Movimento presiederà un sit-in «in memoria di Michela Di Pompeo» in via Golametto, davanti al Tribunale di Roma. Un centinaio i partecipanti previsti. Insieme alla lettere, è stato postato un video in cui tra le parole scorrono le immagini più care a Michela, i suoi libri e le poesie che amava e non si stancava mai di leggere.

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Ecco il testo completo.
Lettera a un condannato per femminicidio o per violenza sulle donne. 

Finalmente, dopo una lunga attesa, è scoppiata l’estate! Ma non per te e nemmeno per le tue vittime, che mai la rivedranno perché scomparse, mutilate, sfigurate o semplicemente annientate nella loro integrità. Forse nel periodo intercorso tra il crimine e la tua condanna, avrai ripensato al tuo gesto e te ne sarai amaramente pentito. Forse avrai cercato di trovare un alibi a posteriori, dicendo che eri esasperato o che avevi sopportato abbastanza. E dopo la condanna, avrai fatto abbastanza per recuperare la tua coscienza e ripulirla, per quanto possibile, da una macchia indelebile. Tuttavia, rimarrai segnato a vita... come hai segnato la vita della famiglia e degli amici della tua vittima.
Allora, cosa voglio da te? Vorrei farti capire quanto la tua condanna sia importante per evitare che altre vittime cadano ancora, quelle che sono già segnate e che camminano, in bilico, tra la vita e la morte, a causa dei tuoi piccoli cambiamenti di umore per le ore di sonno che ti sono mancate. per i farmaci di troppo, per l’alcool, per le droghe o semplicemente per le difficoltà al lavoro. La tua condanna allontanerà i prossimi crimini contro le donne o soggetti più deboli.
Ti chiedo quindi di non contrastare la tua condanna cercando scappatoie giuridiche o legali. Nessuna prescrizione, nessuna attenuante, nessuna riduzione di pena per infermità mentale aiuterà le prossime vittime a salvarsi e i loro carnefici a frenare il proprio proposito di non varcare la soglia. I tuoi compagni di sventura, coloro che hanno la mano già alzata per colpire, potranno fermarsi se la cultura giuridica di questo paese recepirà finalmente il femminicidio come il più odioso dei reati, sanzionandolo coerentemente e persistentemente, con il massimo della pena.
E allora, cosa devi fare? Ti consiglio, negli anni che ti separano dalla liberazione, di batterti per la difesa dei deboli in qualunque modo: di prendere parte ad associazioni o iniziative e, se solo fosse possibile, di renderti disponibile per salvare vite umane. Mi piacerebbe idealmente vederti in azione mentre nei mari mossi e freddi ti prodighi per allungare una mano a chi cerca un appiglio per non affogare, oppure mentre scavi in mezzo alle macerie per ridare ossigeno a chi ha sopra di sé solo detriti. Mi piacerebbe vederti aiutare i malati, i poveri, i bisognosi. Ma questo temo non sia possibile per ora, sebbene sarebbe la tua giusta espiazione della pena. Peccato!
Comunque, ogni occasione per attivarti in difesa delle vittime sarà gradita dalle famiglie, amici e da chi ha il dovere di controllarti e giudicarti nella tua condotta. Ti chiedo di non pretendere di ritornare in libertà troppo presto e di capire che la tua severa condanna aiuterà altre donne a non morire. Ti chiedo di non pretendere che il tuo processo sia più rapido di quello degli altri: la fretta sarà nei prossimi anni il tuo nemico. Forse avrai cercato aiuto nella religione o nella preghiera, ma non sperare di essere riabilitato per questo. Contano di più gli atti concreti, quelli che ti possono riportare a stare al mondo come tutti dovrebbero saper stare. Senza usare violenza sui deboli e senza privare della vita chi ne ha diritto.
Ma forse hai scelto di pensare ad altro e anche questo è un tuo diritto. Ti pregherei almeno di non assecondare il tuo avvocato quando ti propone di fare sparire la tua liquidazione oppure di mettere al riparo i tuoi beni per evitare che siano disponibili per un qualunque risarcimento. Ti chiederei di non fingerti un malato mentale, poiché sai bene di non esserlo mai stato, visto che hai sempre condotto una vita lavorativa e sociale normale e di successo. Hai saputo essere gentile e premuroso per conquistare la fiducia e l’amore della tua vittima e sei stato una persona normale fino al giorno in cui hai approfittato della tua forza fisica superiore per percuoterla o annientarla per un motivo del tutto banale.

Il Movimento Spontaneo degli amici/che e studenti di Michela di Pompeo.

 
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