Noi Rete Donne scrive a Di Maio, Fico e Casellati e all'ambasciatore turco per la morte dell'avvocata Ebru Timtik

Noi Rete Donne scrive a Di Maio, Fico e Casellati e all'ambasciatore turco per la morte dell'avvocata Ebru Timtik
di Franca Giansoldati
Mercoledì 2 Settembre 2020, 13:47
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«Ebru Timtik è morta, ma è immortale, come la sua battaglia». Noi Rete Donne – la piattaforma trasversale che raggruppa diversi movimenti femminili e figure professionali di rilievo – ha inviato una lettera all'ambasciatore della Turchia e per conoscenza al ministero degli esteri, Luigi di Maio e ai presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, per ricordare la avvocatessa turca morta in carcere dopo 238 giorni di sciopero della fame, perchè difendeva i diritti umani e, soprattutto, un processo giusto ed equo.

Era stata arrestata a seguito «di un processo farsa - di cui non accettava né la competenza né la decisione – accusata di reati di terrorismo (appartenenza ad una organizzazione criminale) e condannata a 13 anni e sei mesi di reclusione. Aveva iniziato lo sciopero della fame per chiedere la revisione della condanna, voleva un equo processo, per lei e per gli altri avvocati condannati per lo stesso improbabile reato, fra i quali Aytac Unsal, che versa in gravissime condizioni di salute. A nulla è valsa la richiesta di scarcerazione presentata viste le sue condizioni di salute, a nulla sono valsi i referti medici, la richiesta è stata respinta sia dal Tribunale di Istanbul che dalla Corte Costituzionale».

Noi Rete Donne specifica che la morte di Ebru Timtik, induce a non tacere e « a fare da eco alle denunce che si sono succedute negli anni e negli ultimi giorni: lo diciamo da donne, perché è morta una donna, una avvocata che si batteva per il rispetto dei diritti umani: un Paese come la Turchia, firmatario di convenzioni internazionali che combattono la violenza, che auspicava di poter entrare nella Unione Europea, è invece protagonista di gravissime violazioni dei diritti umani».

«Non siamo solo addolorate dell’accaduto; siamo fortemente preoccupate di quanto accade ogni giorno in Turchia a coloro che esercitano professioni, non solo avvocate, ma anche giornaliste, e magistrate: l’opinione pubblica chiede a gran voce che vengano ristabilite le regole a garanzie del libero esercizio di tali professioni, del libero esercizio del pensiero e di un democratico confronto con le istituzioni. Chiediamo alle Autorità turche il rispetto dei diritti fondamentali e della difesa, sanciti dai principi dell'Onu relativi al ruolo degli avvocati adottati a L'Avana nel 1990».

I movimenti femminili si uniscono alle parole del portavoce della Commissione Europea per gli affari esteri Peter Stano: «Le autorità turche affrontino in modo credibile la situazione nel Paese per quanto riguarda i diritti umani e le serie carenze osservate nel sistema giudiziario. Una difesa forte e indipendente e un collegio giudicante indipendente sono un principio cardine di un sistema giudiziario equo, che rispetti lo Stato di diritto e che protegga i diritti umani nel Paese».

La richiesta che viene inoltrata al diplomatico turco è di scarcerare l'altro avvocato ancora in carcere, Timtek, Aytac Unsal. Le prime firmatarie di questo appello sono Marisa Rodano, Daniela Carlà, Antonella Anselmo, Fulvia Astolfi, Laura Onofri. Alle loro firme seguono quelle di avvocate, magistrate, funzionarie dello stato, professoresse, accademiche, giornaliste, manager, scrittrici.


 

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