Valentina Grande: «Con la Feminist Art le donne hanno rivoluzionato l'arte»

Valentina Grande
Valentina Grande
di Valentina Venturi
Venerdì 11 Settembre 2020, 19:13 - Ultimo agg. 12 Settembre, 15:35
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Smettere di farsi rappresentare dal maschio e dai suoi tabù. L'attuale libertà espressiva femminilie è figlia di un impulso: del movimento artistico femminista che, negli anni ’80, sfocia nell’arte attivista. Judy Chicago, Faith Ringgold, Ana Mendieta e le Guerrila Girls sono gli emblemi di quattro riflessioni e svolte cruciali che sfidano la marginalità, portando il discorso oltre il genere. Per capire e conoscere quest'ondata di fertilità creativa, tra chi si è dichiarata femminista e chi del femminismo ha fatto la propria marca stilistica, c'è la graphic biography “Feminist Art. Le donne che hanno rivoluzionato l'arte” (Centauria editore) con i testi di Valentina Grande e i disegni di Eva Rossetti. 

Valentina Grande, stiamo parlando di un'arte frammentaria?
«Sono soprattutto performance o installazioni, da cui parte il messaggio e la partecipazione alla vita politica. Sono donne attiviste che oltre a realizzare delle opere hanno preso parte a manifestazioni, hanno parlato e fatto politica. Il grande tema che sostà a tutte le storie è la rappresentazione: hanno rotto una rappresentazione che le vedeva descritte attraverso lo sguardo maschile. Si sono riapproriate della rappresentazione della donna, cercando di eliminare i tabù linguistici e visivi».

Qual è il merito?
«Dare visibilità al mondo femminile che non esisteva, anzi al mondo delle donne che ora possono parlare per loro stesse e non hanno bisogno di una rappresentazione mediata da un altro sguardo».

Per esempio?
«Si parla di mestruazioni, di sangue, di corpi, di identità. Chicago nella sua biografia dice che all’inizio aveva paura: aveva rotto dei tabù e temeva per la vendetta degli uomini che sarebbe arrivata attraverso delle critiche che ha ricevuto. Siamo negli anni Settanta e quello che ha fatto Judy se ci riflettiamo oggi è davvero stato rivoluzionario: ha rappresentato le vagine di 39 donne attraverso la ceramica. Una rappresentazione che rompe uno schema e un modello culturale della donna angelica o femme fatale».

"Feminist Art" è definibile come un movimento?
«Chiamarlo movimento artistico è improprio, siamo di fronte a delle artiste che veicolano la loro arte con dei contenuti politici. Per questo sono partita dagli inizi, dagli esordi americani».

Esiste un fil rouge?
«L’ho trovato attraverso lo spazio della città di New York e ho scelto artiste che rappresentassero vari femministi e varie donne. Per cui abbiamo la statunitense Chicago, l’afro americana statunitense Faith Ringgold, l’esule cubana in America Mendieta che fa una riflessione anche sulla terra e la riappropriazione di determinate parole e le Guerrila Girls che rappresentano tutte le donne, tutte le artiste e tutte le persone. Il loro è un femminismo internazionale, che in un certo senso abbraccia tutte le altre».

Cosa l’ha maggiormente colpita della loro storia?
«L’empowerment. Più che basarsi su una critica e una polemica al patriarcato, la loro grande forza è stata di ripartire da se stesse per trovare il proprio spazio, rivendicarlo e farlo esistere. Se esisterà questo spazio, si sono dette, sarà visibile e permetterà ad altri di riconoscersi».

Ha senso parlarne nel 2020?
«Il femminismo è ancora una parola carica di odio, continuamente criticata. Si parla di nazi femministe o di intolleranza come se fosse una lotta tra uomini e donne, quando invece il femminismo rivendica lo smantellamento di un sistema patriarcale in cui rientrano anche molte donne visto che è un tipo di cultura, di potere. Si porta dietro un retaggio di paure e conflitti, quando non è una guerra tra sessi, ma qualcosa di più profondo: la gestione del potere».

Quali pensa siano gli stimoli per le ventenni?
«È un libro che parla di loro, che spiega chi ha lavorato affinché potessero avere un certo tipo di vita oggi. Dobbiamo essere grate verso queste donne a cui è stato detto di tutto e che sono andate avanti lasciando una traccia. È uno stimolo per fare nel nostro piccolo come hanno fatto queste donne coraggiose».
 

 

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