La canadese Jessica Rosval è la migliore chef italiana:«Qui la cucina ha il gusto della vita»

Incoronata da Identità golose la chef canadese guida Casa Maria Luigia guest house di Bottura

foto STEFANO SCATA'
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di Carlo Ottaviano
Mercoledì 26 Aprile 2023, 14:59 - Ultimo agg. 27 Aprile, 07:29
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Quando chiamo per fissare un incontro non so se la troverò mentre cucina nel ristorante da 330 euro a persona (attenzione: senza vino) oppure durante una lezione alle donne immigrate che aiuta a integrarsi in Italia. Incontrerò la chef d’alta cucina o l’appassionata volontaria?

«Sono una persona elastica grazie a un lavoro che mi da modo di esprimermi su livelli diversi», risponde Jessica Rosval, 37 anni, a capo di Casa Maria Luigia, la magnifica guest house creata alle porte di Modena da Massimo Bottura (il cuoco italiano più premiato al mondo) e sua moglie Lara Gilmore (gallerista a New York). A inizio aprile Jessica – canadese di Montreal – è stata premiata da Identità Golose come migliore cuoca italiana «per le sue personalità e tecniche fuori concorso, accentuate da una rara abilità con la brace».

Sempre più italiana, nonostante sia qui solo da 10 anni?

«Ma amavo il vostro Paese anche prima, da quando avevo lavorato da adolescente in un ristorantino italiano a conduzione familiare. Per me la cucina italiana è prima di tutto famiglia. Lo stare a tavola è un momento profondo, un aspetto importante della vita. Mentre si mangia si parla di vita e già di quel che si mangerà la cena o il pranzo dopo. Ci sono luoghi in cui il cibo rappresenta la tradizione, l’identità, le emozioni. In Italia c’è un grande rispetto per il cibo. Si percepisce anche nei piatti, nella purezza dei sapori, nel rispetto del lavoro del contadino. Sono ingredienti così buoni, che quasi non c’è bisogno di far nulla».

Giusta, quindi, la recente candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità?

«Mi sorprende che non sia già stata riconosciuta dall’Unesco. Perché è sintesi di cultura e stratificazioni, di guerre e di pace, di emigrazione e accoglienza, di tradizioni. Ogni singolo piatto racconta una storia, la storia».

Da ragazza lei si è formata, però, in una scuola di cucina francese.

«Si, una formazione classica. Anche la cucina francese è straordinaria. Con salse potenti, ingredienti molto lavorati. Ma nella cucina italiana, pur con le sue complessità, senti la purezza, quasi una verità diversa. Avevo imparato le tecniche, essenziali sempre, ma qui in Italia ho dovuto liberarmi degli eccessi di grassi e aromi, con un percorso bellissimo di appropriazione e riappropriazione. Alla mia cultura gastronomica se ne è aggiunta un’altra, senza cancellare la prima».

Racconti allora il suo arrivo in Italia.

«Era il 2013. Dopo una decina di anni di lavoro avevo deciso di prendermi un anno sabbatico, di girare l’Europa, partendo dall’Italia. Appena arrivata mi sono regalata – era il mio compleanno – una cena alla Francescana di Massimo Bottura che aveva da poco conquistato la sua terza stella Michelin. Quando è passato a scambiare due parole con i clienti in sala è stata una folgorazione, ho cambiato i miei piani.

Ho chiesto un colloquio di lavoro, dicendomi disponibile a qualunque ruolo in cucina».

Non parlava una sola parola d’italiano. È vero che ha comprato scarpe e vestiti nuovi per il colloquio?

«Prima ho recuperato i libri di Bottura e attrezzature per studiare, provare e riprovare per due settimane. Quella mattina è stata come il primo giorno di scuola, non avevo dormito la notte. E mi ha aiutato un pizzico di fortuna perché si erano liberate alcune posizioni nella brigata».

Alla Francescana è stata chef de partie, poi responsabile degli eventi esterni, adesso è la residente chef di Casa Maria Luigia, che è un po’ la sintesi dei successi conquistati a livello mondiale da Bottura&Gilmore.

«Mi ripeto: questa è una specie di capsula del tempo che racconta di Massimo e Lara, della loro storia, della loro famiglia, ma anche dell’Osteria Francescana. È un luogo speciale con delle potenzialità straordinarie. È una fortuna lavorare lì. Ogni giorno arrivo e c’è qualcosa di nuovo che mi colpisce».

C’è anche – molto – la sua personalità fatta di precisione e professionalità, ma ricca di spontaneità e di empatia. Evidenti, specialmente la domenica quando dà vita al Tòla Dolza, che in modenese è come dire “prendila alla leggera”. Qual è il senso?

«La domenica siamo senza regole, ci si diverte. Era un’esigenza che sentivamo tutti durante il primo lockdown per il Covid quando volevamo che si tornasse a stare a tavola assieme, che si ritrovasse il piacere della condivisione. Allora abbiamo detto agli amici: venite a godere della campagna, dell’aria aperta, della musica live, di griglia e barbecue, del forno a legna. Tutto senza fretta. Da allora, ogni domenica è un evento speciale, sempre diverso».

Se non è a Casa Maria Luigia, lei è al Roots (co-working durante il giorno, ristorante la sera) dove è responsabile di Association for the Integration of Women. Anche questo nel segno di Massimo Bottura e Lara Gilmore che con Food for Soul hanno già creato 12 Refettori nel mondo?

«L’esperienza di Roots è un altro lato del cibo, del potere del cibo, che aiuta le persone. Il cibo come gesto sociale. Roots è aperto da un anno. Aiutiamo con la formazione donne sotto i 35 anni, svantaggiate, e le sosteniamo nella ricerca del lavoro successivo».

Più nel dettaglio?

«I corsi retribuiti per le tirocinanti durano quattro mesi e sono dedicati a gruppi di 4 donne. Trasferiamo competenze sulle tecniche di cucina con basi su ogni genere, le conoscenze sulle norme e sulle regole, insomma quanto serve per lavorare bene e correttamente. Importante anche l’aiuto a presentare il proprio curriculum, a comunicare. Ci sono dei mentori che spronano le ragazze a parlare dei loro obiettivi, dei sogni che avevano prima di avventurarsi nel viaggio – spesso drammatico – che le ha portate in Italia da Marocco e Pakistan, Tunisia e Colombia, Ghana, Nigeria, Camerun e altrove».

E la sera al ristorante?

«Proponiamo un menu che riflette le origini delle tirocinanti, che sono arrivate. Cambia ogni quattro mesi, così possiamo condividere la loro cultura, fare integrazione non solo economico-lavorativa ma anche sociale. Di fatto, creiamo una rete di supporto, tant’è che anche dopo i corsi, le donne tornano nei momenti liberi, fanno gruppo. Siamo in centro storico, nel complesso San Paolo, una vecchia scuola di 110 anni. Un luogo da sempre al femminile. Ha sua una particolare magia»

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