“Ragu” mette in rete storie di ricettari e famiglie. Da Lecce a Napoli, da Gorizia a Macerata viaggio nell'Italia della cucina

“Ragu” mette in rete storie di ricettari e famiglie. Da Lecce a Napoli, da Gorizia a Macerata viaggio nell'Italia della cucina
di Valentina Venturi
Mercoledì 23 Febbraio 2022, 11:30 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 07:35
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Si prediligevano le agende inutilizzate e riposte in un cassetto della credenza, ma anche quaderni o rubriche telefoniche.

Poteva cambiare il contenitore, ma il contenuto era invariabilmente lo stesso: le ricette di famiglia. Nelle case di tutta Italia sono questi diari, spesso conservati con le pagine macchiate di sugo e olio, a contenere gli appunti che nonne, mamme o zie hanno preso manualmente per non scordare i segreti per far buona ogni pietanza: dalla giusta quantità di sale all’ingrediente speciale che può rendere un piatto unico. I ricettari familiari tengono vivi i segreti in cucina e variano a seconda dei territori di provenienza tra Venezia, Ancona, Lecce, Napoli o Roma, testimoniando comunque la storia di un Paese. Lo sa bene Mila Fumini, ricercatrice all’Università degli Studi di Firenze, che ha dato vita a “RAGU”, gustoso e ficcante acronimo di “Reti e Archivi del Gusto”. Si tratta di un progetto in fieri che tramite un sito internet di prossima realizzazione raccoglie, cataloga e mette a disposizione di chi voglia conoscerlo, il patrimonio immateriale della tradizione culinaria italiana.

Pagine consumate, strappate o macchiate, unte e bisunte, a righe o a quadretti, che permettono di curiosare dentro le abitudini private, scoprendo piatti dimenticati e morsi di vita. In uno dei ricettari per esempio è stata rispolverata la “Torta di Guerra” un dolce che, in mancanza di farina, veniva preparato utilizzando solo il pane secco. «I miei studi di ricerca archivistica – racconta Fumini – ripercorrono il mondo della storia delle donne e degli archivi religiosi femminili, dei manoscritti, degli ego-documents che racchiudono diari, epistolari e quaderni di discernimento spirituale.

Per questo ho pensato che sarebbe stato interessante conoscere le tracce delle figure femminili in cucina, sole autrici di un rito connesso sia a speciali periodi dell’anno legati alle festività, ma anche alla quotidianità.

I loro piatti non si basavano su grandi manuali di cucina ma su ricette quotidiane sperimentate e trascritte. Eppure le poche informazioni che trovavo erano “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, o i ricettari post Artusi. E non mi risultava che contenessero queste fonti: nessuno si era mai interessato ai saperi popolari femminili di uso comune». La ricercatrice ha quindi organizzato delle call pubbliche tra Castelfranco Emilia e Bologna in cui in un dato giorno e luogo, dalla mattina alla sera, si è messa a disposizione di chiunque lo volesse, per digitalizzare seduta stante i quaderni di cucina. «Spesso – sottolinea la studiosa – le fonti che riguardano donne semi colte, non passate alla storia, non vengono studiate dagli storici della gastronomia e del cibo perché ritenute secondarie. Invece racchiudono preziosi saperi materiali, morali ed etici: dallo sviluppo della prima ricetta con note a margine ai consigli da tramandare, dagli aumenti delle dosi fino a filastrocche, fotografie o persino etichette dei liquori e del cacao». Ad oggi sono stati raccolti una cinquantina di ricettari che partendo dalla Seconda guerra mondiale arrivano agli anni Ottanta e di cui solo due sono di mano maschile. La pandemia ha inevitabilmente rallentato il lavoro di recupero, ma nella stasi forzata Fumini non ha perso tempo: «Ho firmato una convenzione con l’Istituto Parri di Bologna dove, grazie all’interessamento della studiosa del cibo Agnese Portincasa “RAGU”, ha trovato casa».

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