Afghanistan, quell’alleanza “informale” tra Usa e Talebani per colpire il nuovo Daesh

Afghanistan, quell’alleanza “informale” tra Usa e Talebani per colpire il nuovo Daesh
di Marco Ventura
Domenica 29 Agosto 2021, 01:06 - Ultimo agg. 20 Febbraio, 09:41
4 Minuti di Lettura

«Si chiama realpolitik, bellezza». Potrebbe essere questo il motto che nelle cancellerie occidentali e non solo a Washington prende corpo, non da ieri, a sostegno di una teoria che è già da mesi, se non da anni, praticata dagli americani come dai tedeschi, dai francesi e, sempre in modo discreto, dai britannici. Il pragmatismo che vede nel regime talebano in Afghanistan il “male minore” rispetto alla diffusione di una minaccia di gran lunga più insidiosa, quella di una rinascita del Califfato in salsa afghana ma con aspirazioni globali, legata all’affermazione militare dell’Isis-K, reincarnazione dello Stato-terrorista di Rakka ma a ridosso del Khyber Pass, tra i monti alla frontiera col Pakistan.

Alleanza fra Usa e Talebani contro l'Isis-K

I video che nel 2015 presentavano l’ideologia jihadista, anti-occidentale e transnazionale del movimento avvertivano che il Califfato «non si limita a un particolare Paese, i nostri giovani combatteranno contro ogni miscredente, a ovest come a est, a sud e a nord».

E tra gli apostati che si sarebbero venduti all’Occidente, i combattenti dell’Isis-K inseriscono pure i Talebani, considerati miopi nella visione confinata all’Afghanistan, troppo moderati nell’applicazione della legge islamica, e collusi con gli americani e alleati coi quali hanno negoziato la riconquista di Kabul.


La Cia, del resto, ha una lunga tradizione di dialogo con (ex) nemici, il che appartiene alla necessità operativa di qualsiasi intelligence. Il presidente di fatto talebano, Mullah Baradar, non a caso è finito nelle carceri pakistane per volere degli americani, e grazie ancora agli americani è stato liberato per trattare il ritiro occidentale. La dimostrazione dell’odio tra i Talebani e l’Isis, che negli ultimi anni si sono combattuti proprio nelle terre di confine col Pakistan, l’ha data l’esecuzione “esemplare” di un leader dello Stato Islamico del Khorasan, Abu Omar Khorasani, liberato dalla sua cella nella prigione centrale Pul-i-Charkhi di Kabul grazie alla conquista talebana, ma catturato dagli studenti coranici e giustiziato davanti ad altri 8 militanti.

Video


I numeri sono numeri. L’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) ha registrato dal 2017 ben 207 conflitti tra Isis-K e Talebani. E l’agenzia Reuters ha raccolto lo sfogo di un funzionario talebano che dice: «Anche le nostre guardie stanno rischiando la vita all’aeroporto di Kabul, e affrontano la minaccia dello Stato Islamico». E la terza esplosione del Grande Attacco, secondo i russi, avrebbe colpito proprio un veicolo degli studenti coranici. Sono ancora i Talebani a far sapere d’avere fornito notizie d’Intelligence sull’allarme attentati alle forze Nato a Kabul, e ad assicurare poi che prenderanno «ogni misura necessaria» per catturare i responsabili.
Un’altra fonte talebana ha definito gli attacchi all’aeroporto, parlando con un giornalista del britannico Telegraph, come «l’ultimo sforzo e l’ultimo respiro di ciò che resta delle cellule Isis in Afghanistan».


IL TIMORE


Il timore è che alle fila del Califfato si uniscano combattenti della minoranza sunnita in Iran, islamisti del Turkmenistan e uiguri della Cina nord-orientale. Uno scenario che sia gli americani, sia i talebani, intendono scongiurare. La Germania, in particolare, lavora sottotraccia al dialogo coi nuovi signori di Kabul. Il suo ex inviato in Afghanistan, Markus Potzel, tratta direttamente coi rappresentanti talebani a Doha: l’obiettivo è tenere aperto l’aeroporto ai voli umanitari anche dopo il 31 agosto. E il ministro degli Esteri, Heiko Maas, ha annunciato un viaggio nelle Repubbliche ex sovietiche e in Pakistan, Turchia e Qatar. «Non c’è altro modo – ha scritto al Parlamento – che stringere accordi coi Talebani non solo per facilitare la partenza di chi ha bisogno di protezione, ma anche per salvaguardare i risultati più importanti ottenuti negli ultimi vent’anni». E adesso che gli americani perderanno il vantaggio della presenza sul territorio, fondamentale per l’intelligence, i loro occhi non potranno che essere afghani. Anzi, talebani. Finché la situazione non cambierà. «Si chiama realpolitik, bellezza».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA