Afghanistan, Olivier Roy: «I Talebani sono cambiati, bisogna negoziare con loro»

Afghanistan, Olivier Roy: «I Talebani sono cambiati, bisogna negoziare con loro»
Afghanistan, Olivier Roy: «I Talebani sono cambiati, bisogna negoziare con loro»
di Francesca Pierantozzi
Sabato 21 Agosto 2021, 10:01 - Ultimo agg. 16:59
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«Bisogna conservare le ambasciate a Kabul, discutere con i Talebani, vedere cosa è possibile fare insieme, altrimenti che facciamo: abbandoniamo tutto? La società afghana, gli ospedali, le borse di studio?» Olivier Roy non è soltanto un accademico, un politologo, islamista, docente all'istituto Universitario Europeo di Fiesole: l'Afghanistan lo ha conosciuto a 19 anni, nel '69, da giovane avventuriero, e c'era nell'80, durante l'invasione sovietica, e poi nel 2001, quando arrivarono gli americani.

Oggi cosa succede? È una nuova generazione di talebani quella che torna a Kabul?

«Sì e no.

I capi sono gli stessi, ma hanno vent'anni di più. Sono diventati più maturi, hanno una visione diversa delle cose, hanno vissuto in Pakistan, negli Emirati, in Arabia Saudita. Sono politicamente più aperti e più esperti e hanno anche imparato la lezione della sconfitta del 2001, oltre ad aver imparato l'inglese e, per molti di loro, anche l'arabo, che non parlavano. In compenso la base, i combattenti, i soldati, somigliano a quelli di vent'anni fa, ma non sono gli stessi, perché appunto hanno oggi una ventina d'anni. Culturalmente, fisicamente, somigliano ai ragazzi delle campagne del sud che combattevano vent'anni fa».

L'intervento militare e poi l'occupazione occidentale hanno contribuito a cambiarli? E se sì, in che modo?

«L'intervento americano e soprattutto la fine di questo intervento hanno fornito ai talebani una forte legittimità patriottica: possono far valere che grazie a loro non ci sono più truppe straniere sul territorio nazionale. Nello stesso tempo, hanno imparato a negoziare. Kabul non è caduta dopo una battaglia, ma in seguito a un negoziato: non è accaduto come con i Khmer Rossi. I talebani sono entrati in un processo di dialogo».

 

Significa che hanno in qualche modo un sostegno popolare?

«Lo hanno in negativo, in quanto il regime aveva talmente perso credibilità da rendere credibili i Talebani».

Lei pensa che sia inevitabile per gli Occidentali negoziare con i Talebani?

«Ma gli americani già negoziano e da anni con i talebani. Siamo soltanto noi europei a rifiutare qualsiasi dialogo, e a limitarci a dire che sono cattivi e fanatici. Intanto americani, e anche russi e cinesi, con i talebani parlano e dialogano».

E non hanno ragione gli europei a definirli fanatici? Non è giusto stare dalla parte di chi ha paura, di chi disperatamente cerca di scappare, delle donne i cui diritti saranno negati?

«La visione della società dei talebani è simile a quella saudita, eppure consideriamo i Sauditi nostri alleati. In Arabia saudita si tagliano le mani, i diritti delle donne non sono propriamente rispettati, eppure non abbiamo problema a trattare e dialogare con il paese. La diplomazia consiste anche e soprattutto nel saper parlare con i propri nemici. L'opinione pubblica non è la diplomazia. Non esistono solo i talebani ma tutta la società afghana, gli ospedali con cui collaboriamo, le borse per gli studenti. Che facciamo? Lasciamo stare tutto? Anche il traffico di droga? I talebani sapranno benissimo fare a meno del dialogo con gli europei, ma siamo sicuri che sia la cosa migliore?».

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Non c'è nessuno oltre loro? Quali sono le forze in campo in Afghanistan?

«A livello nazionale non c'è più niente, tranne i talebani. Localmente ci sono gruppi armati, milizie, ci sono anche i trafficanti di droga. Ma la forza politica è soltanto la loro. Qualcuno ha pensato a un certo punto che avrebbero potuto configurarsi degli emirati regionali, ma questo non è accaduto e non accadrà. In Afghanistan c'è una logica di stato centrale, una logica statale, e l'unica forza centrale è quella dei talebani. Che hanno già un riconoscimento internazionale, hanno un buon rapporto con Pakistan, Arabia Saudita, Emirati, e rapporti di lavoro con Iran, Russia, Cina, Turchia».

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