Attanasio ucciso in Congo, il padre: «Gli arresti sono un bluff, i killer di mio figlio sono liberi»

Parla il padre dell’ambasciatore ucciso: «Le autorità del Congo non sono credibili»

Attanasio ucciso in Congo, il padre: «Gli arresti sono un bluff, i killer di mio figlio sono liberi»
Attanasio ucciso in Congo, il padre: «Gli arresti sono un bluff, i killer di mio figlio sono liberi»
di Flaminia Savelli
Giovedì 20 Gennaio 2022, 01:00 - Ultimo agg. 21 Gennaio, 09:31
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«Il caso sulla morte di mio figlio è ancora aperto. Questi arresti sono un bluff, non spiegano il movente: non sono una risposta». Arriva subito al cuore della questione Salvatore Attanasio, padre del diplomatico ucciso il 22 febbraio del 2021 durante un agguato in Congo nel Parco Virunga in cui persero la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. La notizia dell’arresto di sei persone, indicate dalla polizia della provincia orientale del Paese come membri della banda armata che avrebbe organizzato il rapimento di Luca Attanasio terminato con una sparatoria, è arrivata in Italia mercoledì sera. Il capo del commando sarebbe invece ancora in fuga: ma la ricostruzione resta piena di punti bui. 

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Cosa non torna rispetto a quanto vi è stato riferito?
«Non torna nulla.

A partire dal rapimento poi finito con l’uccisione di Luca. È un depistaggio, un altro. Se mettiamo in fila tutti gli elementi, i pochi, che abbiamo fin qui c’è una sola certezza: quella mattina Luca era senza protezione».

 

Eppure al momento dell’agguato era in missione fuori da Goma, con il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) che avrebbe invece dovuto garantirne la sicurezza... 
«Solo due giorni prima gli avevano confermato che la strada tracciata per il suo arrivo era “pulita”. Non c’erano pericoli secondo il Goma. Le indagini sull’agguato sono partite proprio da lì. Ecco perché secondo noi, dietro la sua morte c’è molto altro. Questa operazione della polizia, gli arresti, sono un depistaggio e non sarebbe neanche il primo».

Cioè?
«L’ipotesi secondo noi è che sia caduto in una trappola. Gli elementi, gli indizi vanno in quella direzione. Non abbiamo le prove, è chiaro. Ma siamo certi che dietro la morte di mio figlio ci siano molte persone».

Secondo sua nuora, Zakia Seddiki, qualcuno che era vicino alla sua famiglia e all’ambasciata, lo avrebbe tradito. Anche lei lo crede?
«Per arrivare così vicini a Luca e alla sua scorta, è chiaro che qualcuno all’interno della sua cerchia ristretta deve aver passato delle informazioni sensibili. Quella mattina, mio figlio non ha avuto scampo. Era tutto premeditato e organizzato: lo stavano aspettando. In questi mesi poi sono emerse ulteriori tracce come quella di alcuni documenti spariti, altri compromessi».

Dunque un quadro affatto chiaro ...
«Anche per la Farnesina gli arresti del commando dell’altra sera sollevano molte perplessità, tanti dubbi».

C’è anche un indagato proprio della Pam, su cui la magistratura ha già aperto un fascicolo di inchiesta per omesse cautele. Teme in un vicolo cieco? 
«Si tratta di uno dei responsabili della sicurezza del convoglio sul quale viaggiavano mio figlio e Iacovacci. Siamo scettici certo, molti punti continuano a non tornare, lo ripeto».

Alcune persone vicino a suo figlio nei giorni precedenti all’attacco, dichiararono che non si sentiva sicuro, non era tranquillo...
«Luca era molto sereno, non aveva alcun timore e si sentiva al sicuro così come sentiva che tutta la sua famiglia, le sue tre bambine, erano al sicuro. Ecco perché pensiamo a una trappola in cui è finito. Ma ora vogliamo solo la verità: per andare avanti, dobbiamo sapere cosa si nasconde dietro la morte di mio figlio. Un diplomatico italiano morto in circostanze tutt’altro che chiare». 
 

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