Azovstal, il mistero dell'acciaieria. «I capi non sono usciti». Mosca: difficoltà sul campo

Continuano le trattative per gli Azov. La Russia: vengano fuori e si arrendano

Azov, il mistero dell'acciaieria. «I capi non sono usciti». Mosca: difficoltà sul campo
Azov, il mistero dell'acciaieria. «I capi non sono usciti». Mosca: difficoltà sul campo
di Mauro Evangelisti
Giovedì 19 Maggio 2022, 00:11 - Ultimo agg. 15:21
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Ora è finita davvero, anche se i comandanti dell’Azov ancora non sono usciti e non si sono arresi. Mosca sembra decisa a non rispettare i termini dello scambio di prigionieri chiesto da Zelesnky, umiliando così gli ultimi difensori di Mariupol. La resistenza nei sotterranei dell’acciaieria Azov, durata quasi tre mesi, si è fermata. La maggior parte dei combattenti ucraini si è consegnata dopo avere ottenuto un risultato che non è solo simbolico: impegnare a lungo unità delle forze russe che così non hanno potuto convergere su altri obiettivi. Secondo lo stato maggiore di Kiev «hanno compiuto la missione, fermando il piano dei russi di conquistare Zaporizhzhia e permettendo all’esercito ucraino di riorganizzarsi».

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NUMERI
Mosca dice che ormai si sono consegnati 959 militari ucraini del battaglione Azov: si sono arresi a partire da lunedì.

I loro volti scavati, i loro sguardi aspri, sono stati mostrati dietro ai finestrini dei pullman che li hanno portati via. Diversi erano sulle barelle, feriti nel corpo e, probabilmente, nell’animo, perché in una storia come questa è difficile trovare un senso nel momento in cui tutto sembra finire. Di questi 959 uomini - la fonte è il Ministero della Difesa russo - 694 si sono arresi nelle ultime 24 ore. Sono anche stati «uccisi 270 soldati ucraini» e «54 unità di equipaggiamento militare sono state disabilitate» durante la notte. Il Cremlino, dopo una lunga serie di obiettivi falliti e atrocità commesse, vuole sfruttare al massimo in termini di propaganda questo evento. Sta diffondendo copiosamente video dei soldati ucraini che si arrendono o che sono ricoverati in ospedale. Il leader dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, Denis Pushiling, fedele a Mosca, avverte: «I comandanti di più alto grado non sono ancora fuori dall’acciaieria Azovstal di Mariupol». Sembra una storia che si chiude ma poi riparte sempre, come quei film con diversi finali. Cominciata con un manipolo di militari e civili che nell’inferno di Mariupol si sono asserragliati nei cinque piani sotterranei dell’impianto industriale. Non hanno visto il sole per molte settimane, sopravvivendo con poca acqua e cibo, tra gli odori dei cadaveri e i medici che tentavano di curare come possibile i feriti mentre i russi bombardavano. La storia è proseguita con l’evacuazione dei feriti e culminata con la resa di quasi un migliaio di militari ucraini.

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Eppure, dentro ci sono ancora gli ufficiali, a partire dal trentenne Denis Prokopenko, l’ex ultras della Dinamo Kiev e studente di filologia germanica, comandante dell’Azov visto in vari video caricati su Telegram, medaglia dell’Ordine della Croce d’oro. Oltre a lui, non si sono ancora consegnati ai russi il vicecomandante Sviatoslav Kalynà Palamar, il capo dell’intelligence Ilya Samoilenko e il maggiore Serhiy Volyna che non è del reggimento Azov, ma della 36esima brigata dei marines ucraini. «Ci sono ancora molte persone rimaste nell’Azovstal e continuiamo i negoziati per farle uscire da lì» ha spiegato la vice ministra della Difesa ucraina, Hanna Maliar, alla Bbc. «Le trattative sono ancora in corso e speriamo vivamente in un risultato positivo». Il Cremlino, stando alle dichiarazioni del portavoce Dmitry Peskov, ripete: l’uscita dei militari ancora rimasti nei cunicoli dell’acciaieria Azovstal a Mariupol può essere considerata «solo se depongono le armi e si arrendono». Zelesnky, sia per coloro che si sono già consegnati sia per chi è ancora dentro le acciaierie, spera in uno scambio di prigionieri, ma i russi non sembrano disponibili.

Il Cremlino fa sapere che «saranno trattati secondo le leggi internazionali sulla guerra». Già l’altro giorno il presidente della Duma russa, Vyacheslav Volodin, ha attaccato: «I criminali nazisti non dovrebbero essere scambiati, ma processati. Si tratta di criminali di guerra, dovremmo fare di tutto per garantire che vengano processati». E in Russia la procura generale ha chiesto alla Corte suprema di riconoscere gli Azov come «organizzazione terroristica». L’ipotesi dello scambio di prigionieri appare sempre più fragile, Putin vuole mettere in difficoltà Zelensky ma anche dare qualcosa in pasto alla pancia del Paese a cui non è riuscito a consegnare la vittoria lampo. Esponenti di Amnesty International si dicono molto preoccupati e avvertono: «Quelli dell’Azovstal a tutti gli effetti sono dei prigionieri di guerra e quindi devono godere di tutto quello che il diritto internazionale e umanitario prevede nei loro confronti». Sempre Pushlin, il leader della repubblica filo-Mosca del Donetsk, dice che sarà un tribunale a decidere del futuro dei militari che si sono consegnati. «Qualsiasi ucraino ritenuto un criminale di guerra neonazista dovrebbe essere processato da un tribunale internazionale».

CONFESSIONE
Una formula paradossale visto che i tribunali internazionali si stanno interessando sì dei crimini di guerra, ma di quelli compiuti dai militari russi. Il capo della Polizia di Kiev, Andriy Nyebytov, ieri ha spiegato che sono in totale 1.288 i civili trovati morti nella regione dall’inizio dell’invasione. «La maggior parte di loro sono stati colpiti con armi automatiche». E Vadim Shysimarin, 21 anni, primo soldato russo processato in Ucraina per crimini di guerra, ieri si è dichiarato colpevole. In un video lo si vede mentre spara ad un civile. Lui ha spiegato di avere eseguito gli ordini.

La propaganda russa è così concentrata sulla enfatizzazione della resa dei combattenti dell’acciaieria di Mariupol perché sta crescendo la consapevolezza che questa guerra si è trasformata in un pantano. Il vice capo del Consiglio per la sicurezza nazionale di Mosca, Rashid Nuurgaliyev, ha ammesso «le attuali difficoltà». Ha aggiunto: «Ma raggiungeremo gli obiettivi». Il vice primo ministro russo, Yury Borisov, è tornato a parlare di armi nucleari, con una formula solo apparentemente rassicurante vista la distanza a Mosca tra le parole e i fatti: «La Russia non può essere la prima a lanciare un attacco nucleare, può lanciarlo solo come rappresaglia». Zelensky ha proposto di prolungare fino alla fine dell’estate la legge marziale e la mobilitazione generale. Nell’area di Kharkiv l’esercito di Kiev sta guadagnando terreno, ma ieri sera, dopo un periodo di pausa, sono tornate a risuonare le sirene dell’allarme anti aereo in tutta l’Ucraina. Secondo l’Ukraine Pravda «almeno 15 civili sono stati uccisi mercoledì dai bombardamenti degli occupanti nelle regioni di Donetsk e Lugansk, comprese due famiglie con figli minorenni e sette feriti». In un raid è morto un bimbo di due anni.
 

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