Boris Johnson, l'uomo della Brexit che spacca a metà il Regno Unito

Boris Johnson, l'uomo della Brexit che spacca a metà il Regno Unito
Boris Johnson, l'uomo della Brexit che spacca a metà il Regno Unito
Giovedì 12 Dicembre 2019, 20:43
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Boris Johnson, l'ex premier che ha puntato tutto sulla Brexit, spaccando a metà la Gran Bretagna. Se la Brexit avesse un volto, infatti, sarebbe quello di Boris Johnson: sornione, sfuggente, capace delle smorfie più strane, venato talvolta di annoiata noncuranza, eppure in grado di raccogliere simpatie e consensi istintivi. Johnson, l'uomo politico più popolare, istrionico, incline alle gaffe e controverso dei conservatori britannici è - alla soglia dei 56 anni - l'uomo del destino del Regno Unito. Un predestinato, per quanto improbabile appaia ai detrattori, schierato a gambe larghe al centro di un autentico crocevia della storia europea.

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Leader Tory dal luglio scorso, si è accomodato 5 mesi prima di queste elezioni al numero 10 di Downing Street. Con tre anni di ritardo rispetto alle attese e dopo un lungo percorso di scalate iniziate ma mai portate a compimento. Vi è entrato con la giovane fidanzata Carrie Symonds, esperta di comunicazione politica per la quale l'anno scorso ha lasciato dopo 25 anni la moglie Marina e che negli ultimi tempi ha avuto un ruolo non piccolo al suo fianco, non solo per qualche pennellata di look. Ma l'obiettivo è restarci almeno 5 anni, gaffe permettendo.

Il carattere eccentrico, spesso sopra le righe, lo deve anche al mix molto particolare del sangue che gli scorre nelle vene. Boris è figlio di un ex deputato conservatore del Parlamento europeo (Stanley Johnson) e di una pittrice (Charlotte Offlow Fawcett), nonché discendente, per via clandestina, di re Giorgio II. Ha frequentato le scuole migliori del Regno, prima Eton, poi l'università di Oxford, dove ha coltivato la passione per la letteratura, la storia e le classicità. Ma scavando più a fondo emerge un melting pot nel retaggio di famiglia che fa dell'ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri un Tory sui generis.

Nato a New York, Alexander Boris de Pfeffel Johnson ha antenati musulmani ed ebrei, oltre che cristiani. Sulle orme del bisnonno Ali Kemal Bey, giornalista liberale turco e poi ministro ai tempi dell'Impero ottomano, anche lui poco dopo la laurea in Lettere classiche al Balliol College oxfordiano inizia a lavorare per la carta stampata. Al Times e al Daily Telegraph s'impone, come corrispondente da Bruxelles, per la narrativa irridente sull'Ue e gli eurocrati: intessuta di esagerazioni, se non di fake news vere e proprie che gli saranno rinfacciate anche nella campagna referendaria pro Brexit del 2016. Paga una delle scivolate con un licenziamento, ma diventa ugualmente direttore dello Spectator, settimanale conservatore per antonomasia. Sono gli anni in cui, confesserà anni dopo, prova pure la cocaina: «Ma senza riuscire a sniffarla».

L'ingresso in politica arriva poi nel 2001, quando esordisce come tribuno roboante e conquista un seggio in parlamento. Nel 2004 per qualche mese è viceministro ombra della Cultura, ma perde l'incarico per aver mentito su una delle sue relazioni extraconiugali. È del resto vittima ricorrente d'ingarbugliate vicende personali sui tabloid. Johnson ha avuto 5 figli secondo le biografie ufficiali (ma sul numero esatto lui invoca la privacy, e c'è chi dice che abbia almeno uno o due altri pargoli 'illegittimì) e ha due matrimoni falliti alle spalle: quello giovanile con l'italo-britannica Allegra Owen, durato appena tre anni, e quello con Marina Wheeler, avvocato di fama, andato avanti per un quarto di secolo tra una scappatella e l'altra, un allontanamento da casa e un perdono. Passato che gli è valso il titolo di primo divorziato a Downing Street.

Vicissitudini di coppia a parte, la sua carriera decolla con l'elezione a sindaco di Londra nel 2008. Amministra non senza consensi la metropoli britannica, tradizionalmente a maggioranza laburista, e resta in carica per due mandati fino al 2016. Nel frattempo prepara il ritorno alla Camera dei Comuni, nel maggio del 2015. E da subito si pone come spina nel fianco dell'allora premier e vecchio amico David Cameron, fino a farsi paladino del referendum sulla Brexit: sebbene spregiudicato abbastanza da preparare prima della decisione conclusiva due discorsi, a quanto si narra, uno pro Leave e uno pro Remain. La vittoria non gli permette però di lanciare subito l'attesa sfida alla leadership Tory, per il tranello dell'alleato Michael Gove.

Forte di una grande seguito dentro il partito, riceve comunque l'incarico di ministro degli Esteri, che finisce per mollare nel luglio 2018 dopo una serie di baruffe con Theresa May - e contro una linea sulla Brexit ritenuta troppo soft - oltre a qualche gaffe ben poco diplomatica. Fino alla rivincita dell'estate scorsa, alla designazione a valanga a leader al posto della May e alle elezioni. Sempre ispirandosi, non senza una certa presunzione, all'esempio dell'uomo a cui ha dedicato una biografia bestseller, Winston Churchill, e che rappresenta il suo eroe di riferimento. Fin da quando, ancora bambino, confessò l'ambizione di diventare «re del mondo».

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